Le difficoltà in cui attualmente versano le imprese a causa degli aumenti incontrollati di energia e materie prime possono trasformarsi in un’occasione per la criminalità organizzata di infiltrarsi nel tessuto economico. «Le imprese sono da sempre esposte al rischio di infiltrazioni, soprattutto nei periodi di maggiore debolezza come quello che stiamo affrontando – spiega Benny Campobasso della Confesercenti Puglia – Oggi le stime ci dicono che un 10% delle attività rischia di chiudere definitivamente e tanti hanno già annunciato che sospenderanno il loro lavoro preferendo la cassa integrazione. L’intervento dello Stato è fondamentale, noi abbiamo suggerito delle soluzioni che vanno nella direzione di un credito di imposta o nella dilazione dei pagamenti delle utenze energetiche».
Un rischio, quello delle infiltrazioni, ben presente anche al procuratore di Bari Roberto Rossi. «È un problema non nuovo. Il fenomeno deriva da un rapporto tra una parte di imprenditoria che o ne ricava un vantaggio o che subisce la violenza da parte delle organizzazioni criminali per riciclare denaro. In alcune aree della Regione è più rilevante che in altre, ad esempio nel foggiano».
Il sistema sul territorio è ormai consolidato e agisce lì dove lo Stato non riesce a intervenire. «Le organizzazioni criminali vanno o dove l’economia apparentemente tira, oppure dove c’è crisi, anche se non ancora apertamente – spiega il sociologo ed esperto di mafie Leonardo Palmisano – È facile che un’impresa che non ha molta vita davanti ma ha ancora i libri contabili relativamente a posto, venga raggiunta da mediatori che mettano in contatto imprese all’inizio della crisi e le mafie. In questo modo le imprese o i consigli di amministrazione vengono invogliati ad accettare nuovi soci che in realtà sono prestanome che agiscono per conto dei sistemi criminali che investono dentro le società. Questo però non vuol dire che le imprese vengano risanate, maturano semplicemente una dipendenza oggettiva dalle mafie fino a diventarne suddite al fine di riciclare il denaro».
Riciclare denaro sporco non è mai a costo zero per le mafie, mettono in conto di ricavare meno di quanto hanno investito. «Il denaro ricavato è tutto guadagno che deriva dal narcotraffico. Le imprese sotto scacco possono restare in regime di passività – continua Palmisano – tenute in piedi dal denaro delle mafie che quando lo esigono indietro si ritrovano fondi “puliti” e pronti per essere spesi». Quando non ci sono mediatori intervengono invece gli usurai di prossimità: un vicino di quartiere o un imprenditore amico che ha più liquidità. «Questi – conclude Palmisano – diventano dei veri e propri istituti di credito verso cui le mafie indirizzano i propri capitali. E questo spiega anche perché le denunce sono molte meno rispetto alla vastità del fenomeno».