L’ex arbitro e presidente e amministratore unico della Fc Bari calcio 1908, Giancluca Paparesta, è stato assolto dall’accusa di bancarotta fraudolenta in riferimento al fallimento del club – che ha guidato dal 2014 al 2016 – dichiarato a gennaio del 2019.
È quanto ha stabilito la gup del tribunale di Bari, Rosa Caramia. Era stata anche la procura a chiedere l’assoluzione dell’imputato.
Gli inquirenti contestavano a Paparesta il mancato pagamento di imposte e tributi per 1,5 milioni di euro e l’aver indicato, nel bilancio del 30 giugno 2015, un patrimonio netto di oltre 500mila euro “superiore a quello effettivo” pari a -1,5 milioni.
Paparesta aveva scelto di essere giudicato con rito abbreviato.
«Come sempre il tempo è galantuomo e sa distinguere il bene dal male. – ha commentato il difensore, Gaetano Sassanelli -. Sa scegliere fra chi è portatore di valori e chi di disvalori, fra chi ha fatto certe scelte per passione e chi per vili interessi economici. E credo che questa sentenza, adottando la formula piena per tutti i capi di imputazione, abbia fatto le sue scelte».
La dichiarazione di Paparesta
«Tutto quello che ho fatto so di averlo fatto nella massima buona fede e comunque rimettendoci economicamente tutti i miei risparmi, e non certo arricchendomi». È uno dei passaggi delle dichiarazioni spontanee rese oggi dinanzi al gup del tribunale di Bari da Paparesta.
Alla giudice Rosa Caramia, l’ex arbitro ha spiegato di «aver versato nelle casse della società tutti i risparmi di una vita» e che per far fronte «ai gravosi impegni ho perso anche l’immobile utilizzato come mio studio professionale a Bari. Il fisiologico ingresso di un nuovo azionista – ha ricostruito Paparesta – per il mio carattere accondiscendente, mi ha visto immediatamente escluso da tutto, finanche da qualsiasi informazione sulla gestione societaria che pur mi vedeva comunque socio con quota diluita ormai allo 0,6% e che dopo tre anni ha condotto la società al fallimento».
Paparesta ha chiarito di non aver «mai approcciato alla gestione societaria con spirito truffaldino» e di non aver tentato di «lucrare o trarre il maggior profitto possibile dalla società costituita con tanti sacrifici». Ha aggiunto che, di fronte alle difficoltà economiche della società, «ho immediatamente rinunciato al mio compenso di amministratore». E ha inoltre sottolineato di aver scelto il rito abbreviato «sia perché non avevo nulla da temere sia per chiarire nel minor tempo possibile qualsiasi dubbio sulla mia condotta».