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Corteo contromano davanti al carcere di Bari, parla Mortellaro: «Parata mafiosa. Altro che funerale»

«Chiamiamo le cose con il loro nome: quello che è andato in scena davanti al carcere di Bari non è un corteo funebre ma una parata mafiosa». Non usa mezzi termini il sociologo e criminologo Domenico Mortellaro. Qual è il significato dietro un atto del genere? «Si tratta di impossessarsi realmente e mediaticamente di una…

«Chiamiamo le cose con il loro nome: quello che è andato in scena davanti al carcere di Bari non è un corteo funebre ma una parata mafiosa». Non usa mezzi termini il sociologo e criminologo Domenico Mortellaro.

Qual è il significato dietro un atto del genere?

«Si tratta di impossessarsi realmente e mediaticamente di una strada che costeggia una istituzione repubblicana, un centro di detenzione, per dimostrare “noi organizzazione criminale siamo in grado di fare quello che vogliamo nella vostra città, perché qui comandiamo noi e voi avete violato un patto di non ingerenza non scritto: avete ammazzato uno dei nostri e questo non vi spetta”. Un pezzo della città ha sfidato tutti gli altri».

Domenico Mortellaro

Come mai la scelta del carcere?

«Un ulteriore messaggio, hanno voluto dedicare la sfida frontale nei confronti delle forze dell’ordine a un loro fratello detenuto, perché sappia che la sua famiglia non lo abbandona nella tragedia che sta vivendo. Questi sono i fatti, ma fermarsi ad analizzare solo la circostanza è criminale».

Come mai?

«Perché è solo la punta dell’iceberg in una realtà diffusa a Bari ormai da anni in cui la Camorra barese è tornata ad essere superiore ad altre mafie italiane e usa con successo i social e il mondo mediatico. Ma questo, l’episodio di cui si discute, è quello che fisiologicamente si merita chi amministra una città così problematica come Bari continuando a sottovalutare mediaticamente e nella narrazione politica un problema reale, enorme come quello della criminalità organizzata in città, a chi per anni ci ha accusato di sollevare allarmi. Certi episodi mediatici vengono liquidati in modo distorto come folklore e messi da parte perché Bari deve apparire come una città accogliente e moderna, ma che folklore non è: si tratta di un codice ben preciso di comunicazione della criminalità. Dopo l’ultimo episodio questo codice è stato consacrato».

Si è accostata la vicenda a certe scene di Gomorra. Cosa ne pensa?

«Paragonare quello che è successo alla scena della prima stagione di Gomorra del funerale di Danielino è, passatemi il termine, idiota. Quello è un film in cui un corteo funebre mafioso va in scena in un quartiere socialmente escluso e mafiosamente problematico come Scampia, non è una sfida diretta alle istituzioni con un corteo funebre contro mano che va in scena sotto un centro di detenzione di alta sicurezza. Sono narrazioni riduttive ed equivalgono ad affermare: non voglio capire nulla».

Un’accusa alla politica cittadina?

«Un ministro degli Interni doveva correre a Bari a tirare le orecchie alla classe dirigente. Il Pd barese ha rifiutato tutti i posti in commissione parlamentare antimafia e adesso si svegliano e vengono a dire che Bari è una città mafiosa? Si è sottovalutato il tema dell’esclusione sociale, la soluzione non può essere solo la repressione e invocare l’esercito. Chi minimizza in nome del marketing territoriale sta permettendo alla mafia di vincere. Un esempio? il turismo tanto decantato e che viene incentivato spesso lo controlla la mafia. Con le guardianie e la sicurezza alla porta, con le assunzioni pilotate, coi capitali in nero girati nelle casse della ristorazione in crisi, con lo spaccio, con le signorine russo/ucraine nei B&B di pregio del “salotto buono” dell’Umbertino».

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