Corruzione e turbativa d’asta: 11 misure cautelari, interdetto dai pubblici uffici Elio Sannicandro – VIDEO

A conclusione di una «rilevante attività investigativa» eseguita dai finanzieri del comando provinciale di Bari, sarebbe emerso «un collaudato meccanismo di “manipolazione” di procedure di evidenza pubblica». All’esito delle indagini il gip del capoluogo pugliese ha emesso un provvedimento di interdizione dai pubblici uffici nei confronti di Elio Sannicandro, direttore generale di Asset Puglia.

Sono 11 le persone nei confronti delle quali sono state eseguite misure cautelari. Tre sono state arrestate: si tratta dell’imprenditore Antonio Di Carlo, 62enne titolare dell’azienda Fratelli Di Carlo, è finito in carcere, sua figlia Carmelisa Di Carlo, titolare della EcoService srl, e Sergio Schiavone, dirigente del Coni 60enne, sono stati posti agli arresti domiciliari. Sei persone sono state sospese dall’esercizio di pubblici uffici per la durata di un anno e per altre due è stato emesso il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per 12 mesi.

L’inchiesta ruota attorno all’indizione di procedure di evidenza pubblica relative al dissesto idrogeologico: le ipotesi di reato sarebbero di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e turbativa d’asta per fatti commessi nelle province di Bari e Foggia tra il settembre del 2019 e il febbraio del 2021.

A carico di due degli indagati per corruzione è stato anche eseguito il sequestro di somme per complessivi 100mila euro.

Le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Bari, Alessio Coccioli, a margine della conferenza stampa in cui sono stati illustrati gli esiti dell’indagine – Servizio di Mara Chiarelli

L’indagine

L’operazione arriva a conclusione di un’articolata attività d’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Bari e delegata al nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza del capoluogo pugliese, che ha consentito di far luce su un collaudato meccanismo di “addomesticamento” e “manipolazione” di procedure di gara relative a lavori eseguiti nella città metropolitana di Bari e in diversi Comuni della provincia di Foggia, grazie alla compiacenza di alcuni pubblici ufficiali, da cui si rileverebbe un «quadro inquietante di collusione e mercificazioni seriali della funzione pubblica».

Le indagini sono partite da alcune dichiarazioni di una persona informata sui fatti che avrebbe riferito di rapporti intercorsi tra un imprenditore di Lucera e un dirigente pubblico, nel corso dei quali i due avrebbero concluso «accordi corruttivi» relativi ad alcune gare di appalto indette da una struttura commissariale.

Le indagini avrebbero permesso di dimostrare la centralità dell’imprenditore lucerino (finito in carcere), con la collaborazione della figlia (posta agli arresti domiciliari), in tutte le vicende illecite oggetto del procedimento penale. L’imprenditore avrebbe persino dato «ordini a un Sindaco», pilotato «la formazione di commissioni aggiudicatrici», individuato «preventivamente i partecipanti alle gare, al fine di escludere concorrenti effettivi, il tutto dopo aver ricevuto con largo anticipo informazioni precise sui lavori che sarebbero stati affidati».

L’imprenditore avrebbe messo così in piedi «una fitta quanto articolata trama corruttiva», come ricostruito dagli investigatori con riferimento ad almeno cinque episodi, nei quali sarebbe stata accertata la consegna di: 60mila euro al soggetto attuatore di una struttura commissariale operante in Puglia, quale corrispettivo per garantire l’aggiudicazione di un appalto integrato concernente la realizzazione di lavori in bacini idrografici. In tale contesto, emergerebbe il ruolo, quale “mediatore”, di un dipendente del Coni (anch’egli finito agli arresti domiciliari); 5mila euro a un componente della commissione giudicatrice dell’appalto, che avrebbe “alzato” artificiosamente il punteggio dell’impresa vincitrice; 5mila euro a un funzionario della Regione Puglia, per avere orientato le scelte e le decisioni sugli interventi da finanziare privilegiando gli enti locali rispetto ai quali vi era un interessamento del citato imprenditore all’affidamento di lavori; 36mila euro al componente della commissione giudicatrice di una gara, avente ad oggetto l’esecuzione di un intervento di adeguamento sismico in una scuola primaria, quale corrispettivo per l’attribuzione di un punteggio maggiore all’offerta tecnica presentata; 3mila euro a un Rup per ottenere l’affidamento di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria del demanio idrico superficiale.

Il «corruttore» avrebbe anche annotato le tangenti corrisposte, sintomo, secondo gli inquirenti, della «”normalità” della prassi delittuosa, tale da richiedere una vera e propria contabilizzazione al pari dei pagamenti leciti».

Gli indagati avrebbero utilizzato espressioni gergali per definire le tangenti, chiamandole “caramelle”, “ossigeno”, “sciangè”, “polizze” e “documenti”.

Nel corso delle investigazioni sarebbero state, inoltre, accertate “sistematiche” turbative d’asta, in relazione a sette procedure, riguardanti altrettanti comuni dell’entroterra foggiano, pressoché sovrapponibili per l’identico modus operandi adottato. Nello specifico, il “dominus” del sistema avrebbe preventivamente individuato le ditte partecipanti alle gare, avendo cura di sceglierle tra quelle sprovviste dei requisiti tecnici o comunque non in grado di “dargli fastidio” nella fase di aggiudicazione delle singole commesse. Sarebbe, altresì, emerso un collaudato sistema collusivo, che prevedeva la spartizione degli appalti in maniera coordinata con l’avallo di funzionari pubblici titolari dei poteri decisori in ordine all’indicazione dei lavori e alla scelta dei contraenti.

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