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Codice interno, agenti e militari infedeli aiutavano il clan a Bari. È caccia alle talpe

La violenza, certo. Ma non solo. Il clan Parisi-Palermiti controllava il territorio sfruttando i “buoni uffici” tra gli affiliati e alcuni pubblici ufficiali. A cominciare da un carabiniere, che in cambio di informazioni avrebbe ricevuto sostegno elettorale in occasione delle comunali di Cellamare del 2014 e del 2019, e di una non meglio precisata “talpa”…

La violenza, certo. Ma non solo. Il clan Parisi-Palermiti controllava il territorio sfruttando i “buoni uffici” tra gli affiliati e alcuni pubblici ufficiali. A cominciare da un carabiniere, che in cambio di informazioni avrebbe ricevuto sostegno elettorale in occasione delle comunali di Cellamare del 2014 e del 2019, e di una non meglio precisata “talpa” interna alla Procura di Bari. L’inquietante scenario emerge dalle quasi 200 pagine stilate dalla polizia giudiziaria e depositato ieri dai pm baresi Fabio Buquicchio e Marco D’Agostino nella prima udienza del processo derivante da “Codice interno”, l’indagine che a febbraio scorso ha svelato i presunti legami tra clan e politica locale portando all’arresto di 130 persone. Alla sbarra, nel rito abbreviato, 109 persone tra le quali l’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri e i due boss Savinuccio Parisi ed Eugenio Palermiti.

La nota

Nel documento depositato ieri sono contenute intercettazioni che riguardano alcuni imputati, legati alla criminalità organizzata, che comunicavano tra di loro su chat criptate utilizzando sim canadesi: una tecnica per impedire che le loro conversazioni venissero captate. Con l’aiuto delle autorità francesi e olandesi, però, Procura di Bari e polizia sono riuscite ad ascoltare le conversazioni tra membri di diverse organizzazioni mafiose alzando il velo sulle collusioni tra queste ultime e settori deviati dello Stato. Il risultato è un contesto in cui ciascun affiliato al clan Parisi-Palermiti avrebbe avuto un interlocutore all’interno della pubblica amministrazione attraverso il quale sarebbe riuscito ad acquisire informazioni utili da condividere, all’occorrenza, con membri della stessa organizzazione o di altre. Numerosi pubblici ufficiali, in particolare esponenti delle forze dell’ordine, avrebbero intrattenuto rapporti stretti con mafiosi del calibro di Gianni Palermiti, figlio del boss Eugenio rispedito in carcere, dopo un periodo di libertà, proprio dall’inchiesta “Codice interno”.

Le fonti di Palermiti

Sono diversi gli episodi finiti al vaglio di poliziotti e pm. Tra questi ce n’è uno che risale al 29 giugno 2020 e vede protagonista Gianni Palermiti. In quella data, vigilia di un’operazione antidroga denominata “Klumi”, il figlio dello storico boss di Japigia riceve un audio di una persona che, a suo dire, fa parte della polizia di Stato. Il messaggio viene condiviso con membri di altri clan come Strisciuglio e Capriati che, di lì a poco, sposteranno soldi e droga in luoghi più sicuri. Per inquirenti e investigatori si tratta di una rivelazione di segreto istruttorio confermata poche ore più tardi, quando la Dia arresta 23 persone per traffico internazionale di stupefacenti. In altre circostanze Palermiti e suoi sodali come Francesco Triggiano e Alfredo Fanelli ricevono, secondo inquirenti e investigatori, informazioni sulle attività di poliziotti, carabinieri e finanzieri. Da chi? In almeno un caso da un carabiniere, in un altro addirittura da una fonte interna alla Procura di Bari.

Il carabiniere

Ma chi è il carabiniere infedele? Secondo pm e polizia si tratta di Francesco Vito Piccirillo, originario di Cellamare, nel 2020 destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare e nel 2022 condannato a cinque anni e due mesi di carcere. Piccirillo avrebbe avuto conversazioni telefoniche caratterizzate da «fraterna amicizia» con Alfredo Fanelli, detto “u polacc”. Non solo: secondo quanto riferito dal pentito Domenico Lavermicocca, Piccirillo sarebbe diventato consigliere comunale di Cellamare col sostegno suo e di Giuseppe Di Natale e avrebbe sfruttato quel ruolo politico per ottenere il trasferimento in Puglia. Anche altri due collaboratori di giustizia, Gianfranco Catalano e Davide Volpe, riferiscono che Piccirillo avrebbe informato il clan di possibili perquisizioni a loro carico. Questi elementi inducono la Procura a ritenere che il carabiniere non fosse affiliato ai Parisi-Palermiti, ma che fosse di fatto un collaboratore: in cambio di notizie coperte dal segreto istruttorio, avrebbe ricevuto sostegno elettorale in occasione delle comunali del 2014 e del 2019.

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