Immaginate di essere reduci da dieci anni di inchieste e processi con una carriera politica distrutta. Immaginate di essere in attesa del verdetto della Cassazione, dopo una condanna in primo e in secondo grado. Immaginate, infine, di scorrere i nomi dei magistrati che compongono la sezione della Suprema Corte chiamata a giudicarvi e, tra quegli stessi nomi, leggere quello del pm che chiese il vostro arresto. Sembra uno scenario distopico, vero? Invece è ciò che può accadere in un Paese, come l’Italia, in cui le carriere dei pm non sono separate da quelle dei giudici. Protagonista della vicenda è Gabriele Elia, ex vicesindaco di Cellino San Marco, arrestato nel 2015 e poi finito a processo per presunta corruzione.
L’odissea
Il 10 luglio la Cassazione potrebbe mettere fine a un’odissea giudiziaria che per Elia comincia all’alba del 10 aprile 2015, quando i carabinieri arrestano lui e altre 13 persone. Tra queste l’allora sindaco di Cellino San Marco, Francesco Cascione, quattro imprenditori e un pregiudicato ritenuto vicino alla Sacra Corona Unita. Secondo l’accusa, il paese di Al Bano sarebbe nelle mani di un’organizzazione criminale, che fa capo a Cascione e di cui farebbe parte anche Elia, che piloterebbe appalti e concorsi in cambio di mazzette. Di qui il nome dell’inchiesta: “Do ut des”.
La posizione di Elia
Elia, vicario provinciale di Forza Italia, viene svegliato dal sonno nelle tenute di Al Bano, dove risiede, e portato nel carcere di Brindisi: tre giorni di isolamento e 25 in cella prima di finire ai domiciliari per i successivi nove mesi. Il pm (lo stesso che si ritrova adesso come giudice in Cassazione) gli contesta diversi reati. Soprattutto, pero, però, la Procura di Brindisi accende i riflettori su un contributo da mille euro che il sindaco Cascione avrebbe dato a Elia per l’organizzazione di un convegno del Popolo della libertà in vista delle elezioni di febbraio 2013. Quei soldi, secondo i magistrati, sarebbero il prezzo del voto favorevole dato da Elia a una delibera con cui il Consiglio comunale di Cellino San Marco ha preso atto di una direttiva dell’Unione europea sul risparmio energetico. Sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti finisce pure l’individuazione di un centro di raccolta dei rifiuti: secondo la Procura, l’operazione sarebbe stata pilotata, sempre in cambio di mazzette, dalla “cupola” che farebbe capo al sindaco Cascione e che comprenderebbe pure Elia.
I processi
Successivamente Elia finisce a processo. Prova in tutti i modi a difendersi. Come? Spiegando che non poteva negare il voto favorevole a una direttiva europea, che l’iter per l’individuazione del centro di raccolta dei rifiuti è stato riconosciuto come regolare dal Consiglio di Stato e, soprattutto, che manca la figura del soggetto che lo avrebbe corrotto. Niente da fare. In primo grado, il Tribunale di Brindisi gli infligge sei anni e sei mesi di carcere. In appello, invece, la Corte d’appello di Lecce gli riduce la pena a “soli” sei anni.
La Cassazione
Elia si rivolge alla Cassazione. Udienza il 15 maggio che poi, per un difetto di notifica, slitta al 10 luglio. Nel frattempo l’ex vicesindaco di Cellino San Marco scopre che, nella sezione chiamata a giudicarlo, compare anche il pm che chiese il suo arresto, che sostenne l’accusa nel giudizio di primo grado e che successivamente è stato promosso in Cassazione: una situazione possibile in Italia dove, mentre ancora si discute della separazione delle carriere proposta dal ministro Carlo Nordio, le toghe passano liberamente dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti. Quel magistrato, probabilmente, non si pronuncerà su Elia. Ma a preoccupare l’ex politico brindisino è il rapporto di colleganza e di amicizia che lega quello stesso ex pm agli attuali colleghi. A loro l’ex vicesindaco di Cellino San Marco, che si è sempre professato innocente al punto di rifiutare il patteggiamento, chiede giustizia. La otterrà?