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Caporali e spacciatori: un giorno nei campi per una dose. Le nuove frontiere dello sfruttamento

Una giornata di lavoro nei campi e, all’imbrunire, la dose di droga quotidiana. Caporali-spacciatori, braccianti-tossicodipendenti. La nuova dicotomia del caporalato, che apre inaspettate frontiere investigative, arriva dalla provincia di Taranto, ma potrebbe accadere ovunque, in qualunque parte d’Italia. L’inchiesta della Dda Il dato emerge da un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, e riguarda in…

Una giornata di lavoro nei campi e, all’imbrunire, la dose di droga quotidiana. Caporali-spacciatori, braccianti-tossicodipendenti. La nuova dicotomia del caporalato, che apre inaspettate frontiere investigative, arriva dalla provincia di Taranto, ma potrebbe accadere ovunque, in qualunque parte d’Italia.

L’inchiesta della Dda

Il dato emerge da un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, e riguarda in particolare un’articolata organizzazione di narcotrafficanti del Tarantino. Le indagini, coordinate dal pm Milto De Nozza, avrebbero accertato una nuova forma di sfruttamento lavorativo, che pur conservando tutti gli elementi del caporalato tradizionale nei campi, riserva risvolti inaspettati.

Le vittime

Durante il lungo monitoraggio della polizia giudiziaria, grazie anche a intercettazioni telefoniche, gli inquirenti hanno identificato almeno una quindicina di braccianti extracomunitari, provenienti dal nord Africa e dal Kurdistan in particolare, che sono arrivati in Italia già soggetti a dipendenze da sostanze stupefacenti e che avrebbero concordato con i pusher di lavorare nei campi di loro proprietà, gratuitamente, in cambio di cocaina, hashish, marijuana, eroina, in proporzioni variabili a seconda del tipo di droga. Gli incroci investigativi con le banche dati degli istituti di previdenza ha poi confermato quanto acquisito con l’ascolto delle intercettazioni.

Le altre inchieste

L’ultima, in ordine di tempo, è quella della Procura di Bari, che ha accertato l’ennesimo caso di sfruttamento nei campi, con una variante sul tema delle irregolarità contributive. E cioè la strategia adottata dagli imprenditori che, potendo contare su consulenti abili, dichiaravano formalmente i rapporti di lavoro e successivamente cancellavano le comunicazioni di assunzione, in modo da nascondere le prestazioni lavorative effettivamente rese dai lavoratori intermediati. Un uomo e una donna erano stati arrestati dai carabinieri del Comando provinciale e del Nucleo ispettorato del Lavoro di Bari perché ritenuti responsabili del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

La finta disoccupazione

Un altro escamotage, che viene evidenziato dai funzionari dell’Ispettorato del lavoro in tutta la Puglia, e in particolare nella zona del foggiano, è quello legato all’utilizzo della disoccupazione agricola, che spetta ai lavoratori, sia italiani che stranieri, che nel corso dell’anno abbiano prestato attività nel settore agricolo e abbiano versato contributi per almeno 102 giornate.

Il ruolo degli interinali

Il fenomeno della truffa ai danni dello Stato e di evasione contributiva si basa su un meccanismo ben collaudato: al superare della soglia delle 102 giornate, il bracciante continua a lavorare (a volte “in nero” a volte nemmeno retribuito) ma viene dichiarata la cessazione del rapporto e scatta per lui la disoccupazione agricola, prevista dalla legge. Quelle giornate non dichiarate, magari accumulandole con più lavoratori, vengono invece attribuite alle mogli dei caporali o dei proprietari delle agenzie che, pur restando comodamente a casa, percepiranno a loro volta la disoccupazione agricola. Non è raro nemmeno, è emerso, che questo “benefit” venga anche venduto.

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