Bruzzone, l’analisi della tragedia di via Togliatti: «Sono storie destinate a ripetersi»

Per la criminologa e psicologa forense, Roberta Bruzzone, il caso di Torremaggiore è riconducibile a un contesto purtroppo noto alle cronache nazionali e alle tragedie familiari. «Sono storie destinata purtroppo a ripetersi nonostante se ne parli sempre di più sui media e nei contesto sociali. Purtroppo non si riescono a scardinare schemi culturali beceri e medievali che sono alla base di molte azioni violente», afferma Bruzzone che aggiunge «Assistiamo a un copione che siamo abituati a conoscere ormai da decenni e che evidentemente non riusciamo a prevenire».

Poi entrando nel pòarticolare della tragedia di Torremaggiore sottolinea: «Come in altri casi, anche qui ci troviamo davanti a un uomo profondamente immaturo e disturbato che trasforma in violenza la sua gelosia e il suo senso di possesso, ma soprattutto l’umiliazione per essere stato tradito, ferita narcisistica da lavare con il sangue che deve consumarsi anche davanti alla presenza dei figli».

Figli che diventano spesso il vero motivo di “condanna” della donna che ha osato tradire. «Non è la prima volta che assistiamo a questo genere di scenario, senza scomodare chissà quali altri casi mi vengono in mente la vicenda di Tullio Brigida, che uccise i tre figli (Laura, Armandino e Luciana di 13, 8 e 3 anni. ndr) per vendicarsi della moglie che aveva deciso di lasciarlo. Oppure al caso delle gemelline Schepp (Alessia e Livia, scomparse il 30 gennaio 2011 dopo essere state rapite dal padre, ndr). Padri disturbati ossessionati dal controllo sulle donne che portano avanti l’obiettivo non di ucciderle ma di costringerle a vivere in una vita costruita intorno a sbarre di angoscia e senso di colpa che sono invalicabili», afferma Bruzzone che chiude con un perentorio «Uccidere i figli è uno strumento di punizione verso la mamma traditrice».

Uno scenario che, come ha evidenziato la criminologa, è destinato a ripetersi perché appartiene a un contesto culturale difficile da estirpare, anche in un contesto sociale moderno, perché riguarda la considerazione di se stessi e del proprio “potere” di controllo sulla danna.

«Nel caso di Torremaggiore ma, ripeto, la situazione è purtroppo replicabile in altri eventi tragici, l’autore del crimine è una persona completamente assorbita da se stesso e dal bisogno di ripristinare il suo potere sulla donna che ha osato sfidare la sua autorità». Per Roberta Bruzzone si tratta di «Veri e propri stereotipi patriarcali, purtroppo ancora molto diffusi».

C’è anche un altro aspetto che inserisce il caso di Torremaggiore nel filone delle tragedie familiari che sono diventate motivo di cronaca e di approfondimento degli esperti di criminologia. «Se da un lato c’è una mancata maturità sotto il profilo della personalità, dall’altro la vendetta è l’affermazione da un punto di vista sociale della propria figura di uomo che non può essere “sconfitto”. E lo dimostra il fatto che l’aver ripreso la scena, quasi a vantarsi di quanto aveva compiuto, ha portato all’estrema vendetta nei confronti della donna che aveva osato sfidarlo e che doveva pagare il prezzo più alto», conclude Bruzzone. Un prezzo che non poteva consumarsi con la morte della moglie che aveva “tradito” il talamo nuziale, ma con il “ricordo” da viva di una tragedia che le aveva portato via una figlia di 16 anni, incolpevole di un matrimonio che non aveva motivazioni per andare avanti, dietro un’apparente ritrovata tranquillità familiare, dopo il primo tradimento della donna.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Exit mobile version