Sono 56 gli arrestati nell’ambito della maxi operazione condotta stamattina dai carabinieri del Comando provinciale di Bari.
Il blitz è partito all’alba e vede indagate persone ritenute vicine al clan Parisi-Palermiti, sodalizio criminale di tipo mafioso-camorristico, che stando a quanto emerso dalle indagini gestiva, con metodi mafiosi, il traffico della droga nella città metropolitana e nella provincia barese.
L’operazione – condotta con il supporto dei militari di Taranto, dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Puglia, del 6° Nucleo Elicotteri, del Nucleo cinofili di Modugno – arriva a conclusione di un’ampia indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica del capoluogo pugliese.
Nel corso delle indagini, dal 2017 al 2020, sono già stati sequestrati circa 80 chili di hashish, 7 chili di cocaina e 2 chili di marijuana e arrestate numerose persone tra acquirenti e corrieri. I carabinieri hanno anche individuato diversi luoghi di stoccaggio della droga.
Dalle indagini è emersa anche la struttura del clan che aveva una gerarchia composta da organizzatori, promotori, dirigenti e partecipanti. Attraverso il controllo del territorio, il gruppo criminale sarebbe riuscito a gestire il mercato della droga ricorrendo, all’occorrenza, alla violenza e all’utilizzo di armi e munizioni.
Gli arresti sono in corso contestualmente in diverse località delle regioni Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia ed Abruzzo.
La “società della guerra” fondata dai clan
Le indagini, condotte dal 2017 al 2020 su coordinamento della Dda, partirono dopo i tre omicidi di mafia commessi a inizio del 2017 nel quartiere Japigia di Bari, delitti frutto della faida tra il clan Palermiti e gli “scissionisti” capeggiati da Antonio Busco.
Per sostenere il conflitto e permettere la cacciata di Busco e dei suoi sodali dal rione, il clan Palermiti si alleò con il clan Parisi creando una “società della guerra” (così definita dagli stessi indagati) con una vera e propria struttura gerarchica e una cassa comune.
Il business più redditizio di questa “società” derivava dallo spaccio di stupefacenti, portato avanti sia a Bari che in provincia. In particolare, il clan si riforniva di cocaina dai comuni dell’hinterland di Bari (Mola, Noicattaro, Terlizzi e Capurso) e di hashish e marijuana da Marocco e Spagna.
«Lavoriamo per liberare i territori, sapendo che gli stupefacenti sono il primo canale con il quale i clan sopravvivono e crescono, ma se c’è una vendita c’è anche una forte richiesta», ha detto il procuratore di Bari, Roberto Rossi. «Su questo bisogna porre attenzione, perché non riusciremo a fermare il traffico di stupefacenti se la domanda è così sostenuta», ha concluso.