Beppe Grillo condannato per diffamazione a Bari. I giudici: «La critica non si basi sulla menzogna»

Sono state pubblicate le motivazioni con cui i giudici della terza sezione penale della Corte d’Appello di Bari, il 30 settembre scorso, hanno condannato Beppe Grillo a risarcire il danno (che sarà quantificato dal giudice civile) per diffamazione aggravata nei confronti della ex parlamentare barese del Partito democratico, Cinzia Capano.

«Il diritto di critica, anche quella politica, è un bene prezioso della democrazia. È uno dei pilastri sui quali si fonda lo Stato democratico. Se viene meno il diritto di critica, viene meno la democrazia», scrivono i giudici. «Esso, però, non può spingersi né può essere accolto oltre il concreto senso della ragionevolezza; non può insomma fondarsi sulla menzogna; non può confondersi con la menzogna denigratoria; non può costituire menzogna denigratoria finalizzata all’attacco personale lesivo della dignità della persona».

La condanna riguarda alcune dichiarazioni fatte dal fondatore del Movimento 5 stelle durante la trasmissione “Anno Zero”, andata in onda su Raidue il 9 giugno 2011. Grillo parlò dell’assenza della parlamentare barese in Aula in occasione del voto sulla proposta di accorpare nell’Election day il referendum sull’acqua pubblica a quello amministrativo del maggio 2011, accusando Capano (e gli altri parlamentari del Pd assenti) – «attraverso una palese menzogna e un attacco immotivato alla persona», scrive la Corte – di avere volutamente fatto fallire l’accorpamento per boicottare la consultazione popolare a vantaggio delle lobbies della privatizzazione dell’acqua.

Il giorno del voto, il 16 marzo 2011, Capano, come fu subito chiarito con un comunicato dal Pd, annotano i magistrati, era assente perché ricoverata d’urgenza in ospedale a causa di un grave malore.

«Nonostante ciò, Grillo confezionò il suo intervento televisivo – è scritto nella sentenza – sottacendo quel comunicato, così denigrando, attraverso una palese menzogna e un attacco immotivato alla persona, la Capano», che querelò il leader del M5S. «È vero – scrivono i giudici – viviamo in un’epoca di post-verità, così come è stata più volte definita da eminenti filosofi e sociologi. È l’opinione che si sostituisce alla verità. Ciò che conta è ciò che penso, non ciò che è», ma la Giustizia «si fonda sulla verità, non sulla menzogna» e «costituisce il primo e più importante baluardo a protezione della civile convivenza».

La sentenza, le cui motivazioni sono state depositate in questi giorni, riguarda solo il risarcimento del danno. In primo grado il giudice monocratico aveva assolto Grillo.

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