«Il sistema era quello delle assunzioni pilotate. All’interno dell’Amtab lavorava un dipendente, da un certo numero di anni, che è il figlio dell’uomo di fiducia del capo clan». Lo ha affermato Giulia Romanazzi, presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Bari, in audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia nell’ambito dell’approfondimento sull’inchiesta di Bari e, in particolare, relativamente alla decisione dell’amministrazione giudiziaria per l’azienda mobilità e trasporti Amtab.
Come ha riferito Romanazzi il «responsabile del settore» relativo alla «gestione dei parcheggi e di tutto quello che è sosta nella città di Bari, subiva le intimidazioni del figlio dell’uomo di fiducia del capo clan».
Romanazzi ha sottolineato che «le società interinali, in particolare, assumevano lavoratori proposti dal dipendente controindicato non attenendosi alle procedure di selezione, quindi le assunzioni erano sostanzialmente arbitrarie e illegali», ha precisato spiegando che le «fonti indiziarie» sono soprattutto legate a «intercettazioni».
L’impostazione che la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Bari ha dato all’applicazione dell’amministrazione giudiziaria per l’azienda mobilità e trasporti Amtab «è quella dell’impresa che soggiace ad atti intimidatori», ha detto ancora Giulia Romanazzi.
Il Tribunale ha ritenuto che il «settore area sosta di Bari, gestito da Amtab, fosse sottoposto a condizioni di assoggettamento e intimidazione perché il responsabile del settore è stato considerato dalla procura, e anche dal gip, vittima del reato di estorsione, i cui autori sono noti esponenti del clan Parisi».
In una premessa di carattere generale Romanazzi ha sottolineato, riguardo all’amministrazione giudiziaria, che «si tratta di strumenti non repressivi, ma con finalità preventiva. Preventiva è la valutazione dell’applicazione di questo istituto e la scelta di applicare istituti più affievoliti è affidata al Tribunale sezionale misure di prevenzione».
E ancora: «Al tribunale il legislatore ha anche affidato la qualificazione della relazione tra entità imprenditoriale contaminata e il fenomeno criminale mafioso – ha spiegato la presidente della sezione del Tribunale – se ritiene che sia strutturale, ossia il fenomeno sia talmente elevato e infiltrato da aver sottratto ogni autonomia gestionale alla governance, si procede con l’istituto invasivo del sequestro finalizzato alla confisca, che determina lo spossessamento degli organi gestori. Qualora il tribunale ravvisi tra entità economica contaminata e fenomeno criminale di riferimento una relazione, sebbene stabile e durevole, in virtù della quale l’organo gestorio ha conservato la sua autonomia gestionale, applica l’istituto affievolito della amministrazione giudiziaria».
Ciò presuppone che «l’azienda non può essere qualificata come impresa criminosa perché l’organo gestionale ha conservato la sua autonomia. Un contagio blando», ha osservato Romanazzi.
La presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Bari ha poi risposto alle domande dei commissari proseguendo l’audizione in modalità segreta.