Bari, nelle parole dei pentiti l’affresco del capoclan di Japigia: «Palermiti è dannato per i soldi»

«Dannato per i soldi», capace di elaborare un piano con tanto di lettere anonime alle forze dell’ordine per fare ricadere su un “nemico” (in quel momento) le responsabilità di un agguato. È anche così che i collaboratori di giustizia descrivono Eugenio Palermiti, “Il Vecchio”, il “Nonno”, “U’ Gnur”, capo indiscusso del clan omonimo del quartiere Japigia di Bari, elevato al nono grado nella gerarchia mafiosa (uno sotto Savino Parisi).

Il boss capofamiglia che questa mattina comparirà dinanzi al gup Giuseppe De Salvatore, per l’interrogatorio di garanzia, dopo due giorni in carcere. Ad arrestarlo, lunedì mattina, gli uomini della Squadra Mobile (diretti dal dirigente Filippo Portoghese), perché ritenuto il mandante del ferimento di Teodoro Greco, nel 2013 ma anche l’autore delle minacce di morte fatte arrivare a tre “ragazzi” in odore di pentimento. Sono due dei tre, ma soprattutto il suo storico braccio destro, Domenico Milella, che oggi lo mettono al muro con i loro racconti.

Le lettere anonime

Il 26 novembre 2013 arriva alla guardia di finanza, e l’indomani alla Questura, all’ufficio “antimafia”, una lettera anonima scritta a mano: “Io cero il giorno 20/11/2013 quando anno sparato Teodoro Greco il pomeriggio in viale Japigia a Bari. O visto quattro persone – due li conosco sono i figli di Paoluccio bazar, si chiamano Ignazio e Enzo, perché pasano sempre con i motori da lì. Ieri o saputo che li a mandati a sparare lo zio, si chiama Cosimo Fortunato, che prima era amico di Teodoro Greco e si sono litigati. Fortunato a mandato i nipoti a sparare. Il cognome dei nipoti se non sbalio e Calabrese, anno il ristorante”. L’intento di Palermiti, che secondo gli inquirenti avrebbe dettato il testo, era di screditare Mino Fortunato, che in precedenza aveva avuto screzi con il ferito, e con il quale in quel periodo Palermiti non era in buoni rapporti economici.

Le case popolari

Dall’audizione dei collaboratori di giustizia emerge la gestione assoluta, da parte del clan Palermiti, delle case popolari nel quartiere. «Io avevo una casa popolare – racconta Domenico Lavermicocca – Avevo una casa popolare che loro subito andando io via volevano già farla vendere, rivendere, come fanno sempre sulle case popolari; che poi mi pare che è stata affidata ad un’altra famiglia, non so ora chi ci sia dentro». La conferma arriva dall’altro pentito, Gianfranco Catalano: «C’era una macchina nera che girava sempre sotto casa, mo’ non so chi è. A via Rosario Livatino, una casa popolare. Magari forse per vedere se io avevo collaborato veramente da tale giorno, perché si volevano prendere la casa, perché poi io ho saputo che vogliono mettere dentro delle persone. Avevo saputo che comunque mi volevano togliere la casa, e glielo dissi pure, gli dissi se non ricordo male “non mi prendete in giro, perché ho saputo addirittura che mi volete togliere la casa”.

La spartizione delle zone

È sempre Catalano ad accendere un faro sulla spartizione del quartiere Japigia: «Uun periodo, quando parlai con Eugenio proprio per il fatto dello spaccio, mi disse che dalla piazzetta sino al viale, tutto l’Estramurale Capruzzi, sino ad Elio delle scommesse, era zona nostra e nessuno doveva dare fastidio, però noi non dovevamo andare a dare fastidio sopra Japigia, sarebbe dalla pizzeria, dalla farmacia dove sta il mercato coperto sino a tutta dietro Japigia, l’Ipercoop, lì era zona dei Parisi. Quindi nessuno si sarebbe permesso di venire a sparare dal lato nostro, perché poi Eugenio è un tipo. Eugenio è così, Eugenio è proprio una persona… se vai da lui e magari gli porti 2 mila, 3 mila euro al mese, tutto a posto; magari anche dei suoi affiliati, vede che un suo affiliato è amico ad uno del San Paolo, ad uno di Bari Vecchia, lui pensa subito che sta facendo affari con questi qua. Lui è proprio così, è dannato per i soldi…».

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