Anche per chi frequenta il carcere professionalmente, toccare con mano le condizioni in cui vivono i detenuti non è semplice.
«Quando entriamo nell’istituto penitenziario per parlare con i nostri assistiti pensiamo di capire, ma il carcere è tutto quello che c’è dietro i colloqui. Entrare nelle celle e parlare con i detenuti è un’esperienza forte». A raccontarlo è l’avvocato Guglielmo Starace, presidente della camera penale di Bari, che con i colleghi Carmelo Piccolo, Luca Colaiacomo, e Angelo Gentile e Rita Bernardini, Sergio Delia, Elisabetta Zamparutti e Anna Briganti dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, hanno visitato la casa circondariale di Bari.
Una visita lunga per ascoltare le difficoltà dei detenuti direttamente dalle loro parole. «Tanta gente chiede aiuto – racconta Starace – ci sono stranieri che non parlano la lingua e che non sono riusciti ad avvisare le proprie famiglie della loro condizione. Oppure ci siamo trovati davanti alla storia di un uomo partito all’estero per lavoro e che al ritorno si è ritrovato con delle condanne che nemmeno sapeva di avere».
La bestia nera della casa circondariale di Bari resta il sovraffollamento, un problema che ha forti ripercussioni sul percorso di reinserimento dei condannati. «Troppe persone e i posti non sono sufficienti – spiega Starace – quello di Bari è un carcere costruito in un’epoca in cui le pene non avevano un intento rieducativo e gli spazi sono finalizzati sostanzialmente al momento della punizione. I dirigenti fanno quello che possono ma le possibilità sono limitate».
Per non parlare di chi soffre di problemi di salute importanti: neanche in questo caso i posti sono sufficienti. «Bari è un centro clinico a cui vengono indirizzate tutte le persone con patologie serie, ma i posti disponibili sono solo 24 e i detenuti in cattive condizioni di salute sono costretti a stare nelle celle normali».
Ma è il settore dei detenuti ordinari quello che dà maggiormente il senso del fallimento del sistema carcerario. «Erano forse le 2 del pomeriggio e c’erano tutte queste persone, alcune al sole e altre che cercavano riparo in esigue zone di ombra – racconta colpito Starace – Sembrava una cosa impossibile con quel caldo mostruoso. Vedi gente smarrita alla ricerca di una possibilità qualsiasi di sperare in un momento di libertà. Sono situazioni paradossali: si trovano tutti insieme giovani, anziani, stranieri. E questo è un problema anche perché a Bari convivono sia i detenuti condannati in via definitiva che quelli in custodia cautelare».
La popolazione carceraria e le sue aspettative sono diverse, come gli interventi di recupero. «Un detenuto condannato in via definitiva ha una prospettiva sul fine pena, sa già che uscirà e anche il trattamento sarà diverso: potrà lavorare, frequentare la scuola, avere delle prospettive. Per il detenuto in custodia è diverso, è come se stesse lì in un’area di parcheggio. Sono due modi diversi di affrontare il momento detentivo. Bisognerebbe trovare una sintesi».