Non ha visto nulla, non è in grado di riconoscere chi gli ha sparato, non sa da dove sia arrivato quel colpo che gli ha perforato il polpaccio, dichiarato guaribile con 30 giorni di prognosi. Tace, a metà tra la paura e l’omertà, Giovanni Zonno, il 23enne ferito venerdì sera in via Sicilia, cerniera tra i quartieri San Paolo e Modugno.
Il giovane, garzone di una pizzeria, era fermo davanti all’esercizio commerciale, quando è stato raggiungo da un solo colpo calibro 6,35 esploso da un uomo, arrivato in sella a uno scooter. Lo si evince dalle telecamere di sorveglianza della zona, ma lui, soccorso da familiari e accompagnati all’ospedale San Paolo, non ha fornito elementi utili alle indagini.
Ascoltato già due volte dagli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Bari, coordinati dal dirigente Filippo Portoghese, non ha dato indicazioni per risalire all’autore del ferimento. Un atteggiamento che non è nuovo a Bari, e che può essere dettato da un’abitudine a proteggere ma anche dalla paura di esporsi.
Secondo quanto ricostruito dai primi rilievi, affidati agli agenti della Polizia scientifica e dalle poche testimonianze, Zonno avrebbe avuto poco prima un diverbio con un giovane, probabilmente a causa di una lite stradale. Qualche minuto dopo, però, lo stesso giovane lo avrebbe raggiunto nei pressi della pizzeria e gli avrebbe sparato, in una sorta di vendetta personale per quello che era avvenuto poco prima.
Non si sarebbe trattato, allora, di una gambizzazione maturata all’interno di un conflitto fra clan, come da qualcuno ipotizzato subito dopo il fatto. Ma è altrettanto allarmante il fatto che chi ha sparato si sia voluto fare giustizia da solo, considerando probabilmente un affronto quanto avvenuto poco prima.
Un atteggiamento che ricorda, purtroppo, l’omicidio del fisioterapista barese, Mauro Di Giacomo, ucciso sotto la sua abitazione la sera del 18 dicembre 2023 dal 58enne di Canosa Salvatore Vassalli (secondo l’ipotesi della Procura di Bari) che voleva in tal modo vendicare il danno fisico (così lo considerava) provocato a sua figlia.
La ragazza, nel 2019, si era sottoposta ad un trattamento nello studio di Di Giacomo, non invasivo ma che, al contrario, secondo la famiglia canosina, avrebbe peggiorato le condizioni fisiche, accentuando un problema congenito alla spalla. La famiglia Vassalli ne sarebbe stata talmente convinta da intentare l’anno dopo una causa civile che, proprio nei mesi precedenti l’omicidio, sembrava essersi ridimensionata grazie anche a una perizia favorevole a Di Giacomo.
Tutto questo, il risentimento covato dalla figlia e alimentato nei padre, avrebbero indotto Vassalli a farsi giustizia, scaricando l’intero caricatore di una pistola contro Di Giacomo e poi, una volta per terra, inveire con il calcio dell’arma sul capo della vittima.