Blitz sul Gargano: la mafia più feroce di Puglia faceva scuola ai ragazzini

Una mafia camaleontica, che coniuga in sé la ferocia arcaica delle radici, quelle che già 30 anni fa seminavano sangue per un furto di bestiame, alla capacità di infiltrarsi nel tessuto economico, imprenditoriale e politico di interi Comuni. Fucili e strategia accomunano quella che gli inquirenti hanno definito come “la più allarmante criminalità organizzata del territorio pugliese”: quella del Gargano.

Gli arresti

Sono 39 le persone ritenute appartenenti al clan Li Bergolis di Monte Sant’Angelo (Foggia) arrestate ieri mattina (37 in carcere, 2 ai domiciliari) perché accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, altri reati in materia di droga e armi, estorsione, rapina, furto e favoreggiamento. Per tre degli arrestati, Franco Li Bergolis, Enzo Miucci e Giuseppe Pacilli, considerati i capi dell’organizzazione, è stato disposto il regime carcerario speciale del 41 bis. L’operazione “Mari e monti” ha coinvolto polizia (Squadra Mobile e Sco), carabinieri del Ros e lo Scico della guardia di finanza, le indagini sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari con il coinvolgimento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, dei Servizi Centrali e Interprovinciali delle tre polizie giudiziarie.

I numeri

Sono in tutto 48 i capi d’imputazione, 18 i collaboratori di giustizia (tra gli altri, Marco Raduano, il boss viestano, evaso dal carcere di Nuoro il 24 febbraio 2023, rintracciato dai carabinieri del Ros in Corsica il 2 febbraio scorso, pentitosi dopo l’arresto), 75 utenze telefoniche intercettate, 53 ambienti, 16 colloqui carcerari. Sequestrati 11 fucili, 9 pistole, 3 ordigni esplosivi, 10 chili di materiale esplosivo, 636 munizioni, 1.674 chili di marijuana, 1,3 di cocaina, 1 di eroina, 3 di hashish. E su tutto, dal 2009 ad oggi, sono stati 21 gli omicidi e 18 i tentativi, nell’ambito della guerra sanguinosa dei Li Bergolis con i rivali (e altrettanto feroci) Romito-Ricucci-Lombardi.

Le giovani leve

Aiutati ad evadere dalle comunità dove erano stati collocati ai domiciliari, “testati” con le rapine, poi formati con un percorso di tutoraggio, per poi utilizzarli in reati di sangue. Il reclutamento di minorenni è un’altra delle caratteristiche dell’organizzazione mafiosa sgominata ieri, che puntava sulle giovani leve, pronto ricambio per rimpiazzare chi finiva in carcere. Le intercettazioni telefoniche e ambientali testimoniano la fuga di due minorenni, ma anche l’ambizione di un terzo ragazzo, all’epoca 17enne, partecipe dell’estorsione ai danni di un’azienda la Bio System e che ambiva una volta maggiorenne ad essere assunto: «Raffaele vedi che io a giugno faccio 18 anni, vedi se ci posso andare anche io».

La “famiglia”

«Il familismo, lungi dall’integrare una mera coincidenza, assurge a dato caratteristico della realtà mafiosa garganica – scrive la gip Isabella Valenzi nella misura cautelare – poiché rinsalda il vincolo associativo, rendendo l’organismo maggiormente unito e impermeabile all’esterno». A esplicitare il concetto con gli inquirenti è Pietro La Torre in un altro precedente procedimento, “Omnia Nostra”: «Allora, lo sai perché dicono che qua la gente, non esce il pentito, non esce, perché è tutta una famiglia, una famiglia significa di sangue, mio cognato, mio fratello, più fiducia di quello penso che non ce ne sta».

Figura rilevante è Maria Gaetana Santoro, braccio esterno del figlio Claudio Iannoli, che di lei si avvale per comunicare e munirsi di utenze da utilizzare in carcere. Per la gip «la donna è pienamente inserita nel contesto delinquenziale, con cui interagisce attivamente e di cui condivide le logiche, mettendosi a disposizione dei sodali per le più svariate necessità e contrattando in maniera paritaria con i fornitori della sostanza stupefacente. Fa da ponte tra il sodalizio e l’esterno».

I rapporti con le altre mafie

Già nell’ambito del procedimento Iscaro Saburo erano emersi collegamenti tra il clan Li Bergolis e alcune cosche di ‘ndrangheta. Lo dicevano gli stessi protagonisti: Matteo ne parla con il fratello Franco e un tale Tino. «A noi ci conoscono dappertutto, ma noi anche in Calabria, se vai in Calabria e dici il nostro nome, ti portano, su una mano ti alzano i calabresi. C’è una persona che quando ha sentito il nostro nome in Calabria ha detto: “qualunque cosa a disposizione”.

Ma rapporti proficui di “affari” sono stati rilevati anche con altri clan foggiani e con i baresi del quartiere San Paolo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Exit mobile version