Anisakis nelle alici: infezione per una turista tedesca in vacanza nel Salento. Prodotto ritirato dal commercio

A seguito della denuncia di una turista tedesca, in vacanza in Salento, che aveva avuto problemi intestinali dopo aver consumato delle acciughe sott’olio acquistate in un centro commerciale alle porte di Lecce, la Asl salentina ha avviato, insieme ai carabinieri, un’indagine che ha portato al ritiro dal commercio di prodotti ittici infetti. Dagli accertamenti a cui si è sottoposta la donna, infatti, è emersa un’infezione causata dall’Anisakis, parassita che è solito proliferare nel pesce crudo.

La Asl di Lecce ha diramato, oggi, una serie di indicazioni e consigli per i cittadini spiegando che «sotto il profilo epidemiologico, la malattia che può colpire l’essere umano, ingerendo alimenti contaminati dal parassita Anisakis, è molto rara in Italia ed è legata al consumo di prodotti ittici crudi o blandamente trasformati non abbattuti, contaminati dal parassita».

L’infezione colpisce soprattutto l’apparato gastroenterico e solo a seguito dell’ingestione di pesce contenente larve vive del parassita.

In particolare, spiegano dall’azienda sanitaria salentina, «l’ingestione delle larve può provocare dolori addominali, nausea, vomito fino alla perforazione gastrica o intestinale. Da non sottovalutare le reazioni allergiche legate al consumo di pesce crudo infestato da larve vive e che si manifestano con dolori addominali, sintomi di natura reumatologica e dermatologica».

I pesci colpiti più frequentemente da questo parassita intestinale sono: l’aringa (Clupea harengus), lo sgombro (Scomber scombrus), il tracuro (Trachurus trachurus), il melù (Gadus potassou), il pesce sciabola (Lepidopus caudatus), il merluzzo (Merluccius merluccius), le acciughe (Engraulis encrasicolus), la sardina (Sardina pilchardus) e la triglia (Mullus spp).

I parassiti del genere Anisakis, continuano dalla Asl di Lecce, «possono trovarsi nell’addome dei pesci: sono difatti visibili, anche ad occhio nudo, intorno ai loro visceri e assomigliano a dei vermicelli biancastri lunghi da 1 a 3 centimetri. Il pericolo è costituito dalla possibilità che, dopo la pesca, a causa di una eviscerazione tardiva o nulla, i parassiti possano migrare nelle carni del pesce. In questo caso non è più possibile accorgersi della loro presenza e dunque il consumatore rischia, insieme alle carni, di consumare anche il parassita. Pertanto una veloce eviscerazione può rappresentare un importante intervento di prevenzione della parassitosi umana. È opportuno ricordare – aggiungono – che il prodotto diventa a rischio se consumato crudo o sotto sale o marinato, perché la cottura eviterebbe il rischio, uccidendo il parassita».

L’Anisakis, dunque, rappresenta un rischio sanitario «legato alle recenti abitudini alimentari di consumo di specialità a base di pesce crudo, solo se non correttamente gestito».

La Asl di Lecce, quindi, consiglia di «eviscerare sempre il pesce il più presto possibile, magari già in pescheria; congelare il pesce o i suoi filetti se si ha intenzione di consumare preparazioni di pesce crudo o poco cotto per almeno 96 ore a -18° C; cuocere il pesce, poiché i normali metodi di cottura (al vapore, al forno, frittura) sono sufficienti per uccidere le larve».

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