Potrà eventualmente impugnare la Procura di Potenza, e non quella di Taranto, il provvedimento col quale la Corte d’Assise d’Appello di Lecce, nel trasferire gli atti a Potenza, ha annullato venerdì scorso la sentenza di primo grado del processo “Ambiente svenduto” relativa al reato di disastro ambientale imputato all’Ex Ilva nel periodo della gestione Riva.
La Corte d’Assise d’Appello ha infatti rimesso gli atti alla Procura di Potenza per incompetenza e tra 15 giorni depositerà le motivazioni. Sulla possibilità che intervenga la magistratura di Potenza, fonti legali interpellate dall’agenzia Agi, dicono che «è vero che l’articolo 111 della Costituzione dice che tutte le sentenze sono impugnabili, ma l’articolo 568 del Codice precisa tutte ma meno quelle sulla competenza, che è disciplinata dall’articolo 28 che ha un regime particolare. Più che impugnare, Potenza può sollevare il conflitto negativo di attribuzione».
La reazione
«Mi assale la rabbia se penso che fin dalla prima udienza preliminare e per ben altre due volte, avevamo chiesto ai giudici di essere tirati fuori dal mastodontico processo per farci giudicare presto in altro apposito processo, per la sola ragione che mai a noi era stato contestato il reato di concorso o di disastro ambientale. Così non è stato e per ben tre volte la nostra legittima e logica richiesta fu rigettata e sono rimasto incagliato in un processo al quale non dovevo neanche partecipare. Dodici anni che sono un tempo immenso e necessario a bruciarti la vita». Così, in un lungo post su Facebook, l’ex presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, condannato in primo grado a 3 anni di reclusione con l’accusa di concussione nel processo Ambiente Svenduto.
«L’annullamento della sentenza – si sfoga Florido – non cancella la condanna di primo grado poiché essa era stata cancellata dalla prescrizione intervenuta ben prima del processo di appello. Quando bisognerà decidere nuovamente sui rinvii a giudizio, i magistrati di Potenza dovranno prendere atto che il reato a me ascritto è prescritto e quindi dovranno archiviare la mia posizione. Dodici anni di sofferenza, l’onta di sette giorni di carcere e sei mesi di domiciliari. Se ciò non mi è accaduto lo devo alla mia famiglia, ai tanti amici veri che mi hanno sostenuto e ad una larghissima solidarietà umana che ho sentito verso la mia persona».
L’indotto
In attesa che l’iter giudiziario vada avanti, si chiuderanno oggi i tempi che porteranno al pagamento dei crediti ai fornitori di Acciaierie d’Italia. Si tratta di quelli maturati prima che Acciaierie finisse in amministrazione straordinaria e riconosciuti prededucibili. Ovvero soggetti a liquidazione anticipata. L’11 luglio Acciaierie ha inviato a questa categoria di creditori una lettera con cui ha proposto una transazione che ha previsto il parziale riconoscimento dei crediti e l’utilizzo di Sace, società pubblica, o di altri intermediari finanziari. Entro il 24 luglio le imprese dovevano rispondere se accettare o meno l’offerta e adesso a coloro che hanno aderito, è stato spedito il testo dell’accordo stralcio per la formale sottoscrizione.
Il plafond reso disponibile da Sace ammonta a 120 milioni di euro e a quanto risulta su 124 aziende, in 90-100 hanno scelto il canale Sace e la restante parte altri intermediari finanziari. Ne consegue, si legge nella lettera dell’azienda, che «Acciaierie d’Italia s’impegna a pagare le somme in due modalità alternative: l’80% del capitale a condizione che il fornitore presenti ad Acciaierie d’Italia – entro e non oltre il 16 settembre 2024 – un accordo di factoring pro soluto già sottoscritto. Oppure il 70% del capitale nel caso in cui il fornitore non presenti ad Acciaierie d’Italia entro il 16 settembre 2024 un accordo già sottoscritto.