«Un fulmine a ciel sereno», così i sindacati definiscono la bomba deflagrata ieri quando il management di Acciaierie d’Italia (Adi), che gestisce il siderurgico più grande d’Europa, ha annunciato la sospensione di tutte le attività dell’appalto, escluse quelle necessarie alla produzione, per non meglio precisate «superiori circostanze» e anche l’aumento degli impiegati in cassa integrazione. Un gesto che suona di smobilitazione e acuisce la sensazione di precarietà che da almeno un decennio aleggia sullo stabilimento tarantino.
La decisione innesca inevitabilmente una bomba sociale, con immediate ripercussioni su migliaia di lavoratori, e loro famiglie, che domani troveranno il badge disattivato e non potranno entrare in fabbrica per lavorare. La grana, ora, passa immediatamente nelle mani del governo Meloni, già sollecitato nei giorni scorsi dai leader di Cgil, Cisl e Uil, a mettere mano al dossier della fabbrica, che è gestita da una società in cui lo Stato partecipa al 40 per cento.
Da mesi l’ex Ilva è in una pesante crisi di liquidità e di recente i rappresentanti di Confindustria regionale e locale hanno denunciato per l’ennesima volta gravi ritardi nei pagamenti delle aziende di indotto e appalto, con crediti per circa 100 milioni relativi a lavori effettuati, fatturati e non pagati. La decisione riguarda circa 145 imprese dell’appalto. Almeno un terzo di queste fa parte del tessuto economico di Taranto.
Il blocco riguarda quasi tutto l’appalto e significa quindi stop a lavori, trasporti, manutenzioni e attività di varia tipologia. La comunicazione ufficiale è partita ieri mattina via pec. «Sopraggiunte e superiori circostanze ci inducono a comunicarvi, con particolare rammarico, la necessità di sospendere le attività oggetto degli ordini, nella rispettiva interezza, prevedibilmente fino al 16 gennaio 2023, oppure fino all’anteriore data prevista dagli ordini quale termine di consegna».
Acciaierie d’Italia, senza preavviso, ha letteralmente sfrattato le imprese, intimando con urgenza la smobilitazione entro domani mattina, «qualora il cantiere di esecuzione degli ordini sia attivo presso il nostro stabilimento». Non è escluso, come più volte capitato in occasioni simili, che domani mattina la rabbia dei lavoratori bloccati si riversi sulla statale Appia, che si trova davanti alla direzione dello stabilimento, sfociando in proteste e blocchi del traffico. Non basta. A far aumentare le temperature di un ennesimo autunno caldo nel siderurgico, da lunedì aumenterà anche la cassa integrazione per il personale diretto. Secondo fonti sindacali, infatti, «i tecnici, che finora sono stati esclusi dalla cassa integrazione, dovranno effettuare due giorni a settimana».
Si teme un aumento della cassa straordinaria anche tra gli operai. Nell’ex Ilva da marzo scorso è attivo l’uso dell’ammortizzatore sociale, per la durata di un anno, per un numero massimo di 3mila addetti, di cui 2.500 nel sito di Taranto. È da metà 2019, cioè pochi mesi dopo il subentro alla gestione commissariale dell’amministrazione straordinaria, che i nuovi gestori fanno costante ricorso agli ammortizzatori sociali, con numeri variabili, tra cassa ordinaria, cassa Covid e ora straordinaria.
Dura la reazione dei sindacati dei metalmeccanici. «È un gesto gravissimo – commentano Valerio D’Alò e Biagio Prisciano, rispettivamente segretario nazionale e locale della Fim Cisl – che mette a rischio migliaia di posti di lavoro. La ricaduta occupazionale sarà massiccia. Se Acciaierie d’Italia e l’ad Lucia Morselli pensano di utilizzare questa situazione per premere sul governo e cercare di ottenere le risorse del miliardo di euro del dl Aiuti, hanno sbagliato i conti e vedranno l’opposizione del sindacato». «La vita dei lavoratori e delle loro famiglie non può essere usata come arma di ricatto», aggiunge D’Alò. «Questo è l’ennesimo affronto istituzionale all’Italia da parte del gestore della fabbrica, che fa il bello e il cattivo tempo con l’economia di un territorio e con la vita delle persone». E sulla tempistica della bomba lanciata da Adi, per i sindacalisti della Fim Csil «è singolare che l’improvvisa stretta dell’azienda arrivi a poche ore dall’incontro che lunedì i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato proprio a Taranto con i parlamentari del territorio per confrontarsi sulla situazione dell’ex Ilva. Anche questa – dicono – è una forma di pressione, una strumentalizzazione».
I metalmeccanici di Uil aspettano l’incontro con i parlamentari del Tarantino ma già si preparano a organizzare iniziative. «Non siamo disponibili ad assistere al funerale del territorio e a rimanere inermi difronte a quest’ulteriore sfregio di Acciaierie d’Italia», dice Davide Sperti, segretario Uilm Taranto.
Per Franco Rizzo, coordinatore provinciale dell’Unione sindacale di base (Usb), «Acciaierie d’Italia porta all’esasperazione il rapporto con le aziende dell’appalto, bloccandole e apre a Taranto un altro pesantissimo capitolo sul piano occupazionale. Non sono meno di duemila i lavoratori ai quali da domani sarà negato l’ingresso in fabbrica. Unico scopo di Acciaierie d’Italia è quello di avere altro denaro. Riteniamo che le risorse pubbliche non devono servire per pagare i debiti contratti da Adi, ma bensì per mettere in sicurezza la fabbrica e per la comunità. Arrivati a questo punto, chiediamo al governo un aumento della quota societaria dello Stato nella società mista che gestisce lo stabilimento, in modo che diventi socio maggioritario rispetto al privato di Arcelormittal». Usb esprime preoccupazione per «le conseguenze dell’atteggiamento di Acciaierie d’Italia «che va inevitabilmente a surriscaldare il clima, già caldo, all’interno dell’acciaieria tarantina».
Anche per Fiom Cgil si tratta di una provocazione. «L’azienda improvvisamente scopre di essere in difficoltà. Un mese fa l’amministratore delegato raccontava che nonostante le piccole riduzioni della capacità produttiva dovute all’emergenza gas, lo stabilimento era in ottima salute e che non si prevedevano cambiamenti tali da compromettere il futuro dell’acciaieria. Ancora una volta di prova a usare i lavoratori come grimaldello nei confronti dei governi esclusivamente per battere cassa», dichiarano Gianni Venturi, responsabile nazionale siderurgia per la FiomCgil e Giuseppe Romano, segretario generale Fiom-Cgil a Taranto. Per Fiom, l’azienda «necessita di maggiori investimenti e non di fermare l’appalto, mettendo ulteriormente a rischio salute e sicurezza dei lavoratori». Per Alessandro Dipino di Ugl metalmeccanici, «ciò che sta accadendo è vergognoso e pericoloso. Già il mese scorso erano state sospese le richieste di acquisto e di fornitura e da giovedì i lavori appaltati. E anche sul fronte della cassa integrazione, i sindacati precisano che «l’ammortizzatore sociale è già su livelli molto alti e la fabbrica da mesi è quasi ferma, con due impianti importanti, acciaieria 1 e altoforno 2, inattivi da luglio».