Ernesto Palma è uno chef di lungo corso. Ha aperto il suo primo ristorante su Brindisi nel 1989. Era il “Pantagruele”. Adesso la sua famiglia gestisce anche “Cewei – La baracchina del porto” e la “Antica Osteria La Sciabica”. La qualità delle materie prime è sempre stata un suo cruccio, tant’è che è un associato della prima ora dell’associazione “Slow Food”, nata per contrastare l’espansione del cibo spazzatura.
«Sono un associato Slow Food dal 1990 e con Pantagruele comparimmo per la prima volta in quell’anno sulla guida “Osterie d’Italia”. Poi ho sempre continuato a collaborare con Slow Food, sono un loro riferimento per quanto riguarda il pesce. Da cinque anni abbiamo inoltre creato un gruppo composto da 220 cuochi italiani e stranieri, costituendo “L’alleanza dei cuochi”, che è una sorta di disciplinare attraverso cui ci imponiamo di utilizzare materie prime locali che devono essere di straordinaria qualità, fornite da agricoltori, pastori, pescatori, fornai, artigiani che preservano le biodiversità; questo per noi richiede una ricerca esasperata dei prodotti. Si deve lavorare nel rispetto dell’ambiente, del paesaggio, degli animali: la carne di un animale allevato in stalla, a me non interessa. L’animale deve vivere felice, perché altrimenti le sue carni non potranno mai essere buone, e questo riguarda anche i pesci d’allevamento. A Torre Guaceto si effettua una pesca sostenibile e i risultati sono arrivati».
A proposito di alleanza tra ristoratori, a Brindisi si fa squadra?
«Dell’associazione Pani e Pesci, io ho la tessera numero uno. È una battaglia che sto combattendo ma è difficile entrare nella testa di tutti, in special modo dei pizzaioli. Questa associazione è ancora agli albori, in settimana registreremo lo statuto. Vedrò poi di realizzare al suo interno una “sotto-associazione” ed i ristoratori che vi aderiranno, esporranno all’esterno del locale una targa che certificherà l’adesione ad un vademecum teso a tutelare i clienti. Non dobbiamo avvelenare le persone! Se mettiamo benzina cattiva, la macchina si rompe».
Come si sono evolute Brindisi e la sua offerta ristorativa?
«Con le mie strutture mi sono sempre posizionato in una fascia medio-alta: non abbiamo mai regalato il cibo, offriamo qualità e quindi chiediamo che ci venga riconosciuto. Devo dire che questa formula funziona, non abbiamo mai avuto problemi. La percentuale di clienti da fuori Brindisi è notevole. Per fortuna ci sono l’industria e l’aeroporto attraverso cui viviamo. Il ristorante non è fatto per la signora del piano di sopra, è fatto per la gente da fuori. Tuttavia Brindisi al momento non è ancora una città turistica, è una città di frontiera, o meglio lo era, adesso non è più nemmeno quello. Finché quel bacino d’acqua che ammiriamo rimane come un lago, Brindisi sarà sempre in sofferenza».
Andava meglio quando la città era invasa dai turisti in transito per la Grecia?
«Quello era un turista che ci ha dato molto poco in verità, mentre il crocierista non ci dà niente proprio, è un turista da caffè e gelato».
Tornando alla ristorazione, che momento vive quella brindisina?
«In altri locali vedo uno scadimento della qualità, vedo posti drammatici. Ritengo che a Brindisi i soliti ristoranti siano rimasti sempre allo stesso punto, non ci sono stati grandi cambiamenti. Qualcuno adesso vuole emulare le grandi cucine, con piatti montati liscio, morbido e croccante, ovvero i tre elementi separati, ma sono scimmiottamenti. Io credo nella cucina della nonna: il cliente lo conquisti se riesci a procurargli emozioni, facendogli sentire i profumi di quando era bambino. A Brindisi c’è una fascia scarsissima di persone competenti, poi c’è un sacco di gente che continua a mangiare “orecchiette, brascioli e purpetti”».
Come ci vedono da fuori?
«Una volta Oscar Farinetti, mio ospite a “La Sciabica”, mi disse che in Puglia abbiamo un giacimento di materie prime incredibile ma che pochi riescono ad utilizzarle nella maniera giusta. Aveva ragione: pensiamo ad esempio alla varietà e quantità di ortaggi, eppure nei ristoranti non compaiono nei contorni. Fanno ancora la tagliata con rucola e grana. Adesso tutti, anche nei pub, fanno le tartare di tonno, invece dovrebbero fare quello che sanno fare».
Come giudica l’offerta della ristorazione brindisina?
«Rispetto alla parte settentrionale della provincia ed al sud Barese, la nostra offerta è inferiore. Tuttavia abbiamo il pesce e i frutti di mare: io non uso i congelatori, mi rifornisco dalla piccola pesca. Non a caso i leccesi vengono qui a mangiarli: a quelle latitudini ancora intendono lavorare con il congelato, con i sughi pronti. E poi, l’unico olio che faccio entrare in cucina è quello extravergine d’oliva, mentre nel leccese ho visto ristoranti qualificati che lavorano in cucina col lampante».
Adesso è di moda Mesagne. Offre qualcosa in più la ristorazione mesagnese?
«A mio avviso parliamo di fuochi di paglia, di comete».