Referente per la Puglia della rete TalentInclusivi è la dott.ssa Maria Manzi, docente del IV circolo «Beltrani» di Trani, diretto dalla prof.ssa Nunzia Porzio, con cui ci siamo confrontati.
Da dove parte l’interesse dell’Italia per la plusdotazione?
«La scuola di riferimento è statunitense, in particolare l’università del Connecticut, ma anche in Italia da tempo si rileva un’ottima formazione soprattutto in Veneto, all’università di Padova con LabTalento, e non solo».
Quali sono i possibili problemi con gli studenti gifted?
«Già nel lontano 2014 la prof.ssa Daniela Lucangeli ci allertava su alcuni profili “a rischio”, perché si parla di neurodivergenza e non di menti prodigiose e basta. Noi dobbiamo valorizzare i talenti di ciascuno, i punti di forza: ovviamente per i bambini che hanno un quoziente intellettivo sopra la norma sembra facile, ma sono proprio loro a essere a rischio dispersione quando non vengono “visti” e riconosciuti, quando le attività sono ripetitive e non stimolanti in classe».
Com’è la situazione nel territorio?
«Nella Asl Bat, la dott.ssa Brigida Figliolia sta riservando un’attenzione importante a questi studenti e ha formato tanto personale su Adhd (il disturbo di impulsività e disattentività) e plusdotazione. Le esperienze positive ci sono, ma ora bisogna creare una rete estesa ed efficace. L’inclusione scolastica fino ad oggi è stata focalizzata su disturbi dell’apprendimento e disabilità, ora è tempo di guardare anche a questi bambini e strutturare attività adeguate a sviluppare, appunto, i loro talenti nel gruppo classe e non solo. Il mondo della giftedness può essere frustrante: a volte arrivano casi di comportamenti fuori dallo standard, che la scuola non riesce a capire e addirittura punisce. Oppure i genitori non vogliono rendere nota la valutazione perché hanno paura di essere additati».
Cosa fare e cosa no?
«Il punto chiave è personalizzare, studiare le peculiarità di tutti i bambini, caso per caso. Si parla di alto potenziale cognitivo, proprio perché il potenziale va sviluppato, ma parimenti si può disperdere. Uno dei punti di forza di questo disegno di legge è il riportare tutto nell’alveo della scuola, perché il focus non è tanto sugli specialisti esterni, che entrano nella fase di riconoscimento e valutazione: la gestione deve essere in carico alla scuola, appunto, che individua un referente e forma tutti i docenti e i dirigenti, perché ormai tutti possono trovarsi davanti a un bambino con queste caratteristiche.
Per questo, come istituto capofila, noi vogliamo che i processi partano da professionisti interni già formati, per estendere a tutti un know-how consolidato. Non si deve far riferimento al singolo alunno, ma a tutta la geografia dell’universo classe. I modelli sono quelli dell’Universal Design for Learning, proponendo una personalizzazione educativa attraverso un approccio flessibile e inclusivo, in modo da offrire a tutti gli alunni pari opportunità».
Prossimi passi?
«Attendiamo intanto la conversione in legge, ma poi cercheremo di coinvolgere anche i genitori nei Talent Point e di estendere la formazione gratuitamente nelle scuole. Basta solo che docenti e dirigenti decidano di associarsi alla rete».