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Made in Carcere: «Siamo bravi ma ci serve l’aiuto della comunità»

I vestiti che abbiamo addosso all'interno hanno l'etichetta che racconta dove sono stati fatti. Alcuni, però, riportano un'etichetta diversa dalle altre: sono i prodotti del brand "Made in carcere", marchio nato grazie a Luciana delle Donne, leccese doc che ha fondato la Onlus "Officina creativa". Tre i brand della Onlus: "2nd chance", "Sartoria sociale di…
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I vestiti che abbiamo addosso all’interno hanno l’etichetta che racconta dove sono stati fatti. Alcuni, però, riportano un’etichetta diversa dalle altre: sono i prodotti del brand “Made in carcere”, marchio nato grazie a Luciana delle Donne, leccese doc che ha fondato la Onlus “Officina creativa”.

Tre i brand della Onlus: “2nd chance”, “Sartoria sociale di periferia” e “Made in carcere”, appunto. I manufatti MIC vengono realizzati in alcune delle case circondariali italiane. La prima è stata Lecce, col tempo si sono aggiunti Nisida e le case di detenzione di Taranto, Trani, Bari e Grosseto. Con la partecipazione delle aziende partner, che donano tessuti che altrimenti andrebbero buttati (e diventerebbero inquinanti, come ci ricordano gli effetti collaterali della fast-fashion), “Made in Carcere” realizza gadget personalizzati e capi di abbigliamento che raccontano una storia nuova, fatta di seconde opportunità, di formazione professionale e di reinserimento lavorativo.
Dal 2019, “Made in Carcere” è operativa anche nella casa circondariale della città di Matera. Il laboratorio qui è tutto al maschile, tranne per la referente del progetto su Matera: Veronica Scardillo, che ha fatto della qualità e del culto del bello il marchio di fabbrica dei prodotti che qui vengono realizzati.
Forte della sua esperienza lavorativa nel campo della sartoria, dedicata a eventi culturali di spessore, spettacoli teatrali e nel mondo della cinematografia, e di un percorso professionale costantemente immerso nel sociale, è diventata tutor dei tirocinanti che avevano seguito un corso di formazione. Gestisce il laboratorio di sartoria, nato pochi anni fa, di cui è addetta alla produzione.
I manufatti prodotti colpiscono per la loro bellezza e la loro qualità, frutto di una professionalizzazione costante che Veronica trasmette ai colleghi di laboratorio.
L’estetica si fonde dunque al valore sociale del progetto, e va al di là dell’insegnare un mestiere: nel laboratorio si crea il bello.
Ragazzi che hanno un’età tra i 30 e i 42 anni, che inizialmente non sapevano utilizzare i macchinari specifici che abitano il laboratorio. «Ora siamo bravi in quello che facciamo, e quello che realizziamo piace molto. Speriamo che la comunità, vedendoli, decida di sostenerci».
Il progetto permette di seguire un percorso professionalizzante che possa tornare utile al momento del reinserimento in società. «L’amministrazione del penitenziario è entusiasta del progetto e crede nei ragazzi», ha aggiunto Veronica Scardillo, che del suo attuale contesto lavorativo parla come di «un mondo nel mondo», nel quale “Made in carcere” può assumere le sembianze di un ponte che i due mondi li riconnetta.
I materiali che vengono lavorati arrivano soprattutto dall’indotto dei salottifici del territorio, che forniscono pelle e tappezzeria. Così viene donata nuova vita ai tessuti, ma anche e soprattutto alle persone. Matera è la casa di realtà artigianali di livello, un luogo in cui tutto ha una sua storia.
I prodotti “Made in carcere” non sono da meno, per chi avesse voglia di offrire loro visibilità. Borse, accessori per la persona, complementi d’arredo, cuscini, tappeti, portatelecomando e tanto altro: il laboratorio sforna prodotti di qualità, la cui bellezza è già una storia a sé. «Ai ragazzi dico sempre – ha aggiunto Veronica – che a prescindere dal dove si realizza e da chi lo realizza, è l’oggetto stesso che parla di bellezza e che trasmette bravura. È l’oggetto che deve parlare di sé, non la storia di chi lo fa».

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