Gli ultimi dati Eurostat raccontano un continente in cui l’età media è alta e la fertilità bassa. L’Italia non smentisce la previsione e non si ritrae rispetto alla vecchiaia dei suoi abitanti, un dato destinato a crescere a ritmi sempre più serrati. La Basilicata è tra le regioni con il maggior numero di anziani in Italia seguita poi da Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Umbria e Molise. La Lucania figura quindi tra le aree amministrative classificate come Nuts-2 dalla Ue che mostrano la più alta percentuale di over 65 rispetto al totale dei residenti. Dalla macro al micro, insomma, il risultato non cambia.
Secondo gli ultimi dati diramati sono 96 milioni i cittadini europei con più di 65 anni, pari al 19% della popolazione. Buona parte di essi vive proprio nella nostra penisola. Sono infatti almeno 13 milioni le persone nate prima del 1953 di nazionalità italiana. Un dato preoccupante che, semmai ce ne fosse bisogno, ribadisce che l’Italia è un paese vecchio, dove il ricambio generazionale è fermo e che viene mantenuto in pari nelle statistiche demografiche soltanto dall’immigrazione.
Il dato è allarmante. Restituisce una fotografia delle principali città italiane in costante invecchiamento, situazione che comporta anche un peggioramento della situazione economica. Nei paesi dove i giovani cedono il passo ai più anziani l’inflazione cresce. Città vecchia significa scarso dinamismo e scarso dinamismo fa ristagnare l’economia, con scarsa concorrenza tra gli esercizi commerciali e conseguente congelamento dei prezzi che tendono a rimanere alti, se non anche a crescere a dismisura.
L’età avanzata dei residenti, la diminuzione delle nascite, sono segnali d’allarme per le città a rischio spopolamento e che finora sono riuscite a mantenere stabile il numero dei propri abitanti solo grazie ai flussi migratori.
I notevoli progressi della sopravvivenza e la contestuale riduzione della fecondità non lasciano spazio a dubbi. Si vive di più e si nasce meno. Negli ultimi 200 anni, il miglioramento delle condizioni di vita e i progressi della medicina hanno determinato un incremento nella speranza di vita alla nascita senza confronti nella storia dei primati. Lo dimostra un’analisi della durata della vita di individui appartenenti a società post-industriali e società di cacciatori-raccoglitori, e a sei specie di primati. Un dato sorprendente è che, indipendentemente dalla specie e dai progressi sociali, i maschi in media vivono meno. Le persone in tutto il mondo vivono sempre più a lungo e sempre più in salute. Questo, che è certamente un enorme progresso sociale, da una prospettiva evoluzionistica e antropologica assume un significato ancora più ampio: in poche generazioni, infatti, gli esseri umani hanno vissuto il più grande incremento della speranza di vita alla nascita dell’intera storia dei primati.
Intanto, L’Unione europea chiamata, oggi, a far fronte ad un calo demografico, ad una scarsa crescita naturale e all’invecchiamento di una parte della popolazione, non resta a guardare. Per affrontare tali problemi, la Commissione ha formulato un certo numero di raccomandazioni basate segnatamente sulla strategia di Lisbona modificata, al fine di sfruttare al meglio le opportunità di una vita più lunga avviando allo stesso tempo un processo di rinnovamento demografico.