Addio agli artigiani. Dal 2012 in 16mila hanno gettato la spugna e i giovani sono sempre meno interessati al settore

Non sembra conoscere freno il calo del numero di artigiani in Italia. Solo in Puglia e Basilicata negli ultimi dieci hanno lasciato la professione rispettivamente 14 mila, pari al 14,8 per cento del totale, e 2,2 mila, il 15,9 per cento. Ad analizzare l’analisi è stata la Cgia di Mestre in base ai dati resi disponibili dall’Inps. Non solo dai numeri emerge l’inequivocabile passo indietro di tanti liberi professionisti, alcuni dei quali preferiscono poi accettare impieghi da dipendente, ma anche che i giovani sono sempre meno interessati a lavorare in questo settore.

Inoltre, se prima si registrava una “resistenza” da parte dei più anziani che stringevano i denti per arrivare alla pensione, adesso anche questa tendenza è molto meno evidente. Puglia e Basilicata si collocano esattamente al centro nella classifica delle regioni italiane. A pagare il prezzo più alto è l’Abruzzo che, dal 2012 al 2022, ha visto scomparire il 24,3 per cento delle partite iva impiegate nel settore. Seguono le Marche (-21.6 per cento) e il Piemonte (-21,4 per cento). Il Mezzogiorno in generale perde meno rispetto alle altre aree del paese, con un taglio che si ferma al 15,2 per cento, rispetto al meno 18,3 per cento del Nord Ovest, al 17,8 per cento del Nord Est e al 18 per cento del Centro.

La Cgia di Mestre evidenzia come senza le botteghe rischiano l’estinzione le imprese familiari che, oltre ad essere un motore importante dell’economia italiana, hanno anche grande valenza dal punto di vista culturale. Lo studio evidenzia come siano ormai ridotte al lumicino le attività artigiane che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e Tv, sarti, tappezzieri. Non tutti i settori, però, sono in crisi. Si salvano, infatti, quelli legati al benessere e all’informatica e continua a crescere il mercato degli acconciatori, degli estetisti e dei tatuatori. Aumentano anche i liberi professionisti che si occupano di sistemi, gli addetti al web marketing, i video maker e gli esperti in social media. I nuovi impieghi, però, non compensano in termini numerici la perdita che si registra nell’artigianato storico. Diverse sarebbero le motivazioni di questa drastica perdita di professionisti.

Lo studio realizzato dalla Cgia di Mestre si sofferma, in particolare, sul forte aumento dell’età media, «provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali hanno spinto molti artigiani a gettare la spugna». Alcune “responsabilità” sarebbero invece da attribuire ai I consumatori che avrebbero, secondo il dossier, cambiato il modo di fare gli acquisti. «Da qualche decennio hanno sposato la cultura dell’usa e getta, preferiscono il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio – sottolineano i ricercatori -. La calzatura, il vestito o il mobile fatte su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo online o preso dallo scaffale di un grande magazzino».

Il risultato è che accanto alla perdita di posti di lavoro resta anche quella culturale, difficilmente recuperabile una volta perse le ultime generazioni di artigiani. Una scuola senza maestri ma anche senza alunni.

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