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Vivibile, accogliente, per nulla razzista: gli stranieri raccontano la città di Bari

La città di Bari raccontata dagli stranieri

«Non sto bene in nessun’altra città così come a Bari: la amo, per questo l’ho scelta e ci vivo». Bassem è un medico di origini palestinesi, che dal 1980 vive a Bari. Di cui dice di amare «il mare, il sole, e le persone», che è simile a quanto afferma Matilde, dottoranda portoghese che abita nel capoluogo, eccetto brevi parentesi, dal 2020. «I baresi mi hanno insegnato a dare importanze alle cose che contano, come trascorrere più tempo con amici, parenti e le persone che ami». E l’accoglienza ricevuta è il minimo comune denominatore di queste esperienze, come racconta anche Tamari, studentessa georgiana accolta, dal 2017, da una famiglia barese. «Che mi ha regalato un affetto immenso, impossibile da dimenticare», dice.


È questa l’immagine della città vista e raccontata dagli stranieri che, per vari motivi, si sono trasferiti e vivono a Bari. È il caso di Bassem che, dopo i primi anni di università, ha concluso gli studi in Sicilia, per poi ritornare a Bari per la specializzazione medica. «In qualsiasi altra città – spiega Bassem – mi sento un pesce fuor d’acqua». Sarà forse perché si tratta di una città «né troppo grande, né troppo piccola», come la descrive Matilde. «A misura d’uomo – spiega la dottoranda portoghese – dove anche solo una passeggiata in spiaggia ti mette di buon umore». «Se così non fosse – le fa eco Tamari – non mi sentirei come a casa: Bari e l’Italia sono ormai la mia seconda patria». E i baresi? «Gente accogliente, sorridente e per nulla razzista», dichiara Bassem, mentre per Tamari sono «molto simili, nel temperamento, ai georgiani». Significativa l’esperienza di Matilde. «Gli abitanti di Bari – dice – mi hanno insegnato a restituire la priorità alle cose più importanti, come godersi una giornata con gli amici e i familiari, magari davanti a del buon cibo». E il patrimonio gastronomico non è di certo un elemento secondario nelle loro storie. Mentre racconta la sua esperienza, per esempio, Bassem ha davanti i resti di un croissant sfornato da un noto bar del centro, così come Tamari, che tra tutte le pietanze sceglierebbe sempre «un buon pezzo di focaccia».

In alto, Tamari, dalla Georgia. In basso a sinistra, Bassem, dalla Palestina, e Matilde, dal Portogallo


Ma non mancano gli aspetti migliorabili. «Il mio auspicio – si augura Matilde – è che Bari diventi sempre più una città universitaria, dando agli studenti spazi aperti e riconoscibili». Il tema dei luoghi di aggregazione fa emergere tanti ricordi in Bassem, che ripercorre gli anni in cui a Bari «esistevano locali capaci di far incontrare e amalgamare tante persone divertirsi», come la “Dolce Vita”, locale «storico» in via Albanese, «in cui si fondevano divertimento e cultura». Non sfugge, poi, anche agli occhi di chi qui si è trasferito dall’estero l’eterna piaga dell’emigrazione giovanile. «Non riesco ad accettare che molti ragazzi siano costretti a lasciare Bari – dice Tamari – perché è una città con grandi potenzialità».
E tra questi punti di forza, c’è sicuramente l’accoglienza. A sancirlo, oltre queste storie, anche quella del santo patrono di Bari, “San Nicola amante dei forestieri”. Un modo di dire molto popolare e che mai come in questo periodo storico si dovrebbe ripetere.

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