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In libreria il nuovo romanzo di Francesco Carofiglio: «Il coraggio è fragile come la memoria» – L’INTERVISTA

Proviamo a immaginare che lo scrittore, regista e architetto barese sessantunenne Francesco Carofiglio abbia vissuto a Bari negli anni ’40, che fosse stato un diciassettenne nel 1943, l’anno in cui è ambientato il suo ultimo lavoro di scrittura «Tutto il mio folle amore» (Garzanti), presentato ieri sera, nel corso di un evento organizzato da “Donne in Corriera”, nel cortile di Palazzo di Città, insieme ad Oscar Iarussi: chi dei tre giovani protagonisti a cui ha dato forma nel racconto sarebbe stato? Alessandro, brillante e politicamente impegnato, Lallo, il «cugino gemello» ribelle, campione di sport e dongiovanni o Carolina, italo irlandese?

Scorre, tra le pagine del libro, la storia di una terra in via di liberazione anche attraverso i microfoni di Radio Bari, la prima radio liberata d’Italia, quella nata nel ‘32 come strumento di propaganda durante il Regime. Tra i ragazzi di cui parla in quale personalità si ritrova?

«Forse in una parte di ciascuno, direi. Ma sicuramente Alessandro ha qualcosa di me adolescente. Le sue fragilità, il suo desiderio di proiettarsi altrove, lo studio del pianoforte. Ma non ne ero cosciente, mentre scrivevo, posso dirlo soltanto adesso, ora che il libro è entrato in una libreria e non è più mio».

I suoi anni verdi, e ancora oggi in realtà, li ha trascorsi in via Nicolò Putignani, lì dove abitava e proprio lì dove, al civico 247 e a pochi passi dalla Chiesa di San Rocco, era ubicata la sede di Radio Bari. Quanto ha influito camminare per quella via?

«Moltissimo. Tre generazioni della mia famiglia ci hanno vissuto. Percorro questa strada ogni giorno, diretto al mare, ed è come attraversare, stratificate negli anni e nella pietra, le stagioni della memoria. Voglio dire però che non si tratta di nostalgia: è piuttosto la consapevolezza, che a volte affiora più netta, della sensazione che i luoghi custodiscano storie invisibili. Se presti attenzione, puoi sentirle risuonare».

La trama è un intreccio di amicizia, amore e coraggio nel macrocosmo della rinascita della libertà in un’Italia ferita. Lei avrebbe avuto lo stesso coraggio, quello che trascina in piazza e fa rischiare la propria vita, così come accadde per i ragazzi di via Niccolò dell’Arca a Bari, nel luglio del ‘43, e ne parla, quando un corteo pacifico di studenti che festeggiava la caduta del regime, si trasformò in una strage? Lei ci sarebbe stato in quella manifestazione o in quella sede di Radio Bari?

«Non lo so. Credo che il coraggio non si misuri prima ma solo dentro le circostanze e negli inciampi che la vita ci presenta. Bisogna attraversare la paura, per mostrare il coraggio. Quello dei ragazzi di questa storia non è eroico, o non soltanto: è fragile, quotidiano, nasce forse anche dal bisogno di non tradire sé stessi».

La città ha ricordato l’evento della resistenza ai nazisti con la liberazione del porto e della città vecchia e, non a caso, nello stesso giorno viene presentato il libro. È anche un invito alle nuove generazioni a non dimenticare?

«Forse è una sollecitazione, sommessa, a fare della memoria qualcosa di vivo. Questo passa attraverso la filigrana della narrazione. La libertà non è mai conquistata una volta per tutte e ciò che accade oggi nel mondo mi sembra che lo dimostri».

Bari da allora ha mantenuto quell’energia?

«Ogni città cambia, con fasi di luce e di ombra. Non molti conoscono la storia di Bari in quegli anni di lotta, la straordinaria avventura di Radio Bari».

E lei ne era a conoscenza in modo preciso?

«Io stesso, prima di approfondire, sapevo cose più vaghe. Mi sono infilato nei cunicoli stretti della memoria, guardando le immagini, sentendo la musica e i suoni, perfino gli odori».

Cosa è rimasto quindi di quella stagione irripetibile del ‘43?

«Mi auguro la capacità di rialzarsi, di trasformare i momenti di crisi in occasioni di un futuro possibile».

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