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Stati generali dell’infanzia a Bari, Pellai: «Ai bimbi serve vivere la vita reale, non uno schermo» – L’INTERVISTA

Nel corso della seconda giornata degli Stati Generali dell’Infanzia, Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, è intervenuto con una lezione magistrale dedicata all’infanzia da zero a sei anni e all’impatto che tecnologia e smartphone stanno avendo sulla crescita dei più piccoli.

Dottor Pellai, oggi sembra che i genitori si trovino davanti a una situazione inedita. Da dove nasce questo cambiamento?

«Questo è un tempo di grande ripensamento relativamente a come stiamo crescendo bambini e bambine che poi diventano ragazzi e ragazze in preadolescenza. L’errore forse più grande, di cui non ci eravamo accorti, è stato trasferire tantissimo della nostra vita reale dentro la vita virtuale».

Ha parlato di un vero e proprio «ricablaggio» dell’educazione avvenuto in un periodo preciso. A cosa si riferisce?

«Dal 2010 al 2015 è cambiato qualcosa. La presenza ingombrante della tecnologia è entrata nelle vite dei più piccoli e oggi vediamo bambini che si intrattengono sugli smartphone, perdendosi una crescita naturale nella vita reale. Tutti i meccanismi di approntamento del vuoto e della noia sono stati riempiti attraverso la stimolazione degli schermi».

Qual è l’effetto di questa stimolazione sul cervello dei bambini?

«Gli schermi ingaggiano il bambino in attività dopaminergiche, cioè attività che fanno produrre nel cervello una sostanza che punta alla gratificazione istantanea. Ma poi ti obbligano a non smettere di fare quella cosa che l’ha fatta produrre. Questo è un punto critico perché i bambini non imparano più a gestire l’attesa, la noia, il vuoto».

Cosa rischia di perdersi, quindi, nei primi anni di vita?

«I bambini hanno bisogno di contatto con la natura, di contatto con gli altri, di una relazione autorevole messa loro a disposizione dal mondo educativo adulto. Gli adulti devono tornare a rimettere lo sguardo vero, l’ascolto e la parola, la postura del corpo dentro alla vita dei bambini. Troppe volte, invece, questa dimensione viene sostituita dall’offerta di uno schermo che immediatamente li tranquillizza, ma non li educa».

Molti genitori però si sentono stanchi, soli e sotto pressione. Da dove si può ripartire?

«Credo che oggi la sfida più grande sia non rimanere soli e isolati. Se io sono da solo a dover gestire le richieste di crescita del mio bambino, sentendomi stanco e stressato, sceglierò automaticamente il metodo più facile e immediatamente disponibile».

Qual è l’alternativa a questa solitudine educativa?

«Entrare dentro una comunità. Collegarsi con altre famiglie, supportarsi vicendevolmente con genitori che hanno figli della stessa età. In qualche modo dobbiamo riportare la logica del cortile dentro le nostre vite, perché nel cortile non c’era bisogno di adulti sempre presenti a intrattenere i bambini».

Come possiamo far capire ai bambini che la vita reale è più ricca di quella virtuale?

«Il dato di fatto è che anche i pediatri hanno emanato raccomandazioni chiare: fino ai 13-14 anni non bisogna dotare un minore di strumenti digitali portatili, quindi no smartphone e no tablet, niente social media prima dei 16-18 anni. Serve molta attenzione anche all’esperienza del videogioco, che ha sostituito tantissimo il bisogno di giocare con gli altri».

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