SEZIONI
SEZIONI
Bari
Sfoglia il giornale di oggiAbbonati

Sociologia economica, Chiarello: «Non bastano incentivi per fermare chi emigra» – L’INTERVISTA

Franco Chiarello, a lungo docente all’Università di Bari di Sociologia economica, ha commentato il recente rapporto «Migrantes» e gli allarmanti dati sull’emigrazione italiana e meridionale con un post sulle sue pagine social in cui ha criticato la retorica della «restanza» e della «tornanza» come se fossero decisioni dipendenti solo da scelte soggettive. Innanzitutto, professore, esiste…
l'edicola

Franco Chiarello, a lungo docente all’Università di Bari di Sociologia economica, ha commentato il recente rapporto «Migrantes» e gli allarmanti dati sull’emigrazione italiana e meridionale con un post sulle sue pagine social in cui ha criticato la retorica della «restanza» e della «tornanza» come se fossero decisioni dipendenti solo da scelte soggettive.

Innanzitutto, professore, esiste una sottostima dei dati reali sull’emigrazione italiana, e pugliese in particolare?

«Esiste, certo, perché intanto a livello complessivo gli iscritti all’Aire, cioè all’anagrafe degli italiani residenti all’estero, ammonta nel 2024 a sei milioni e mezzo circa, ma molti non si iscrivono o lo fanno solo quando hanno bisogno di qualche pratica amministrativa. Quindi quei 6 milioni e mezzo in realtà sono sottostimati. Per quanto riguarda il Sud, molti di quanti si spostano in Italia settentrionale o all’estero, per studio o lavoro, non cambiano residenza, quindi anche quello è un dato sottostimato. Ma anche senza prendere in considerazione la sottostima, i dati sono inquietanti perché si tratta di circa l’11 per cento della popolazione italiana che è ufficialmente all’estero, e già questo falsifica molte retoriche».

A quali si riferisce?

«La prima è che l’allarmismo sull’invasione da parte degli immigrati è destituito di fondamento, perché a fronte di sei milioni e mezzo di italiani che sono all’estero, gli stranieri sono cinque milioni e trecentomila, quindi l’Italia continua ad essere un paese di emigranti, più che di immigrati. Il Rapporto Migrantes rivela che l’Italia è un paese di passaggio anche per molti stranieri che hanno preso la cittadinanza italiana, birds of passage o uccelli di passo, come già Michael Piore descriveva le dinamiche migratorie, molti anni fa, in un libro che aveva questo titolo. Piore spiegava che le comunità di emigrati all’estero si sono costituite più per strati successivi: ne andavano dieci, ne tornavano otto, due rimanevano. Oggi anche questa caratteristica è cambiata».

A che si riferisce?

«I trasferimenti all’estero hanno sempre più la caratteristica di essere definitivi, non temporanei. Sono persone che decidono di rimanere via perché in Italia non ci sono prospettive di ritorno. Questo vale per l’Italia, ma vale ovviamente molto di più per il Mezzogiorno. Per questo, più che l’invasione, è la desertificazione il vero tema».

Parliamo anche di molti giovani che sono stati formati nel Sud e che poi lo abbandonano?

«Il Censis calcola che, se si tiene conto dei costi necessari per tutto il processo di formazione di un ragazzo dalla scuola primaria all’università, il costo netto dei laureati che vanno via è di circa 4 miliardi di euro per il Sud. Una volta ricevetti una lettera di un direttore di dipartimento universitario tedesco, il quale mi ringraziava perché avevo contribuito a formare uno studente che si era laureato con me e che si era trasferito in Germania, trovando un lavoro nel suo dipartimento. È un esempio di capitale umano che l’Università di Bari ha formato, ma che non è riuscita a trattenere. È la stessa ragione per cui ho visto tanti studenti finire la triennale rimanendo vicino casa, per poi fare la specialistica fuori».

Quindi il motivo dei trasferimenti è che le opportunità di inserimento lavorativo sono enormemente maggiori fuori?

«Le maggiori opportunità sono la ragione principale. Ma è anche vero che la qualità della vita e dei servizi fuori dal Mezzogiorno e dall’Italia è un altro elemento che spinge a partire».

In che cosa hanno fallito i programmi volti ad incentivare la «restanza» o anche la «tornanza» al Sud, per usare i termini che lei ha criticato?

«In generale parlare di “tornanza” e “restanza” di fronte a questa situazione è veramente un spreco di retorica, perché il problema non è quello di incentivare una scelta soggettiva a tornare o restare, ma è il fatto che non ci sia un contesto che consenta la restanza o la tornanza. Le politiche rivolte a motivare i giovani a scegliere di vivere in Puglia o al Sud devono essere integrate con politiche di sviluppo industriale, manifatturiero, tecnologico, che consentano di porre le condizioni per fare questa scelta. Bisogna migliorare i contesti territoriali, sia dal punto di vista dell’offerta di lavoro, ma anche, e forse soprattutto, dal punto di vista della qualità della vita, dei trasporti, dei servizi in generale, perché solo questo potrebbe spingere le persone a tornare e, in prospettiva, spingere anche chi non è pugliese a trasferirsi in Puglia».

CORRELATI

Attualità, Bari","include_children":"true"}],"signature":"c4abad1ced9830efc16d8fa3827ba39e","user_id":1,"time":1730895210,"useQueryEditor":true,"post_type":"post","post__in":[470754,473742,473684],"paged":1}" data-page="1" data-max-pages="1" data-start="1" data-end="3">

Lascia un commento

Bentornato,
accedi al tuo account

Registrati

Tutte le news di Puglia e Basilicata a portata di click!