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Soccorritrice morta in un incidente a Turi: «Il parroco poco attento alla vita altrui»

La misura cautelare per don Nicola D’Onghia, parroco di Turi accusato dell’omicidio stradale della 32enne soccorritrice del 118 Fabiana Chiarappa e di omissione di soccorso (per non essersi fermato ad aiutarla), per i giudici del Riesame era necessaria, ed evidenziano come i fatti siano stati posti in essere «in spregio di ogni regola, giuridica e…
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La misura cautelare per don Nicola D’Onghia, parroco di Turi accusato dell’omicidio stradale della 32enne soccorritrice del 118 Fabiana Chiarappa e di omissione di soccorso (per non essersi fermato ad aiutarla), per i giudici del Riesame era necessaria, ed evidenziano come i fatti siano stati posti in essere «in spregio di ogni regola, giuridica e non, di convivenza e dell’allarme sociale generato da simili condotte alla collettività stanziata sul territorio», scrivono nelle motivazioni al provvedimento con cui hanno revocato i domiciliari, sottoponendolo all’obbligo di dimora nel comune di residenza, Noci.

La personalità

«L’intera vicenda – evidenziano i giudici – pone in luce la personalità connotata in senso poco convincente dell’indagato, il quale, ad onta del suo stato formale di incensuratezza e del suo status di religioso, ha posto in luce in concreto l’assenza di rispetto delle regole cautelari individuate anche dal codice della strada, per lo svolgimento di attività pericolose, come quello di guida degli autoveicoli, mostrandosi poco attento al rispetto per la vita e dell’incolumità altrui».

Il comportamento

Degno di censura per il Riesame è anche «il contegno serbato, sin dal primo momento da parte del parroco – scrivono – il quale, ad onta di spontanee dichiarazioni assolutamente inutili in ottica investigativa, con le sue propalazioni non ha mai agevolato, ma ha anzi di fatto ostacolato la ricostruzione della dinamica del sinistro, resa possibile solo grazie all’acquisizione dei filmati provenienti dalle telecamere di videosorveglianza, all’incrocio dei dati dei tabulati telefonici ed alla prova scientifica».

La dinamica

L’auto di don Nicola D’Onghia, secondo quanto evidenziato dai periti della Procura, «procedendo alla velocità prevista su quel tratto di strada, era sicuramente nelle condizioni di avvistare, con fari funzionanti e già da una distanza di circa 30 metri, l’ostacolo stradale. Il mancato avvistamento – fanno notare i giudici – deve essere, perciò, addebitato ad una velocità di marcia superiore o alla distrazione del conducente, impegnato ad armeggiare con il telefono cellulare. Non condivisibile appare l’assunto del consulente della difesa secondo cui lo spazio di arresto sarebbe stato superiore. Una simile lettura – avvertono – finirebbe per rendere inevitabili, nella vita quotidiana, una pluralità di piccoli incidenti stradali anche di portata più modesta».

Infine, ritengono «irrilevante la sua spontanea presentazione dinanzi ai carabinieri, ad alcune ore dall’incidente, giacché in quei momenti cominciava a sentirsi braccato dalle prime indagini verso la sua auto».

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