Il tema è se si sia raggiunto davvero il punto più basso. L’ammissione dei direttori sportivi Magalini e Di Cesare, a margine della storica debacle subita dal Bari a Empoli, è solo il timbro a piè di pagina in coda all’ultimo capitolo di un “libro fresco di stampa” e macchiato da clamorosi errori di valutazione, negligenza, omissioni, presunzione, superficialità e approssimazione. Tanto nel soggetto, tanto nella “stesura del testo”.
La verità è che il ko per 5-0 contro i toscani, oltre a rappresentare un record negativo dopo 64 anni (l’ultima volta in Serie B accadde fuori casa contro la Lazio, il 26 novembre 1961), è il manifesto di un progetto tecnico inconsistente e senza visione, figlio della scellerata rivoluzione estiva voluta dall’area tecnica. Ma è anche, e soprattutto, la punta di un iceberg che sotto il pelo dell’acqua nasconde responsabilità precise e molto più ampie dello spettacolo indecoroso offerto dal Bari al Castellani e nelle prime 13 partite del campionato 2025-26.
I limiti La squadra allestita dal direttore sportivo mantovano e dal suo vice capitolino continua ad essere vittima di se stessa, manifestando evidenti falle di natura strutturale, soprattutto in difesa, che si trascina sin dalla gara persa in Coppa Italia contro il Milan. Semplicemente sconsiderata la scelta di ripartire da Vicari, reduce da una stagione disastrosa, purtroppo ancora una volta lontano da un rendimento all’altezza delle aspettative e della sua storia personale in Puglia. Scriteriata la scelta di affiancargli Nikolaou, che è stato accompagnato alla porta dal Palermo e dai suoi ex tifosi, a margine di un’annata orribile con la squadra siciliana.
Alla colpa ha fatto il paio l’azzardo di puntare su seconde linee ancora più inaffidabili, come Meroni, altro gregario di cui la Reggiana si è liberata senza troppi rimpianti, e un giovane ancora troppo acerbo con Kassama, giudicato da Magalini «più forte di Obaretin».
L’audace, ma improvvido, tentativo di costruire un Bari d’assalto, facendo leva esclusivamente sulla qualità del centrocampo e sulla voglia di rivalsa di gente a caccia di rilancio in attacco, ha fatto i conti inesorabilmente con l’assenza totale di equilibrio, costringendo, dopo nemmeno un mese, l’ex tecnico Caserta a stravolgere l’assetto di gioco, distruggendo quello che era evidentemente un mero castello di carta. Ad aggravare lo scenario altri fattori, quali la condizione fisica precaria, soprattutto nei ruoli chiave della squadra, l’atteggiamento indisponente di presunti leader tecnici e la grave assenza di personalità. Il risultato di quello che può considerarsi un fallimento su tutta la linea è oggi certificato dall’onta dei numeri e da una classifica sempre più da brividi.
Altro che scuse Apprezzabili, ma tardive. La crisi del Bari, inutile girarci attorno, ha dei nomi e dei cognomi. A cominciare dagli architetti del nuovo progetto tecnico, che probabilmente dopo un simile disastro, compiendo un gesto responsabile e di buon senso, avrebbero dovuto rimettere il proprio mandato nelle mani del presidente De Laurentiis.
Sotto accusa c’è anche il massimo dirigente del club pugliese, reo di aver affidato il suo giocattolo a dirigenti sportivi che si sono dimostrati inadeguati, avallandone tutte le scelte nell’ultimo biennio. La verità è che il Bari, ormai da tre stagioni, naviga nell’ignavia figlia dell’assenza di progettualità e di ambizioni, come testimoniano i sette allenatori, i tre ds e le decine di calciatori ingaggiati. Limitarsi all’ennesimo cambio in panchina per risolvere un male così profondo è solo l’ennesimo capolavoro di incompetenza e presunzione. A questo punto la Filmauro, tricolore a Napoli, ha il dovere di interrogarsi sulla sequela di fallimenti in salsa pugliese e di mettere in campo scelte drastiche che almeno consentano di mettere in salvo il club e la categoria, in attesa del passaggio di consegne obbligato.
L’appuntamento Mercoledì mattina verrà presentato in conferenza stampa Vivarini. Al suo fianco Magalini e Di Cesare. Non ci sarà invece De Laurentiis.









