Per la Cisl i quesiti referendari sono superati. Inutili. «Si rischia di compromettere importanti conquiste in materia di tutele», a dirlo è Antonio Castellucci, segretario generale Puglia della Cisl. E il riferimento è soprattutto al quesito sull’abrogazione «del contratto a tutele crescenti, introdotto dal Jobs Act», tutto questo per Castellucci e il suo sindacato «comporterebbe una riduzione dell’indennizzo massimo per i licenziamenti illegittimi da 36 a 24 mensilità, con una conseguente perdita reale di diritti per i lavoratori».
La Cisl sostiene che «un sindacato responsabile debba affrontare i cambiamenti del mercato del lavoro guardando avanti, attraverso il dialogo, la contrattazione collettiva e il confronto costruttivo». E per loro in questo momento storico, «i referendum non sono lo strumento adeguato per fornire risposte efficaci e strutturali ai problemi del mondo del lavoro, soprattutto se propongono contenuti sbagliati nel merito», dice.
La linea
La linea fissata è quella della segretaria generale Daniela Fumarola: «il lavoro non si difende guardando al passato, pertanto i referendum non sono la scelta giusta poiché propongono soluzioni rischiose o addirittura dannose. Servono invece percorsi responsabili, condivisi e soluzioni legislative strutturate, frutto del dialogo e della partecipazione delle parti sociali. Per questo motivo, esprimiamo forti perplessità su questo approccio, che non affronta le sfide del lavoro di oggi. Che sia chiaro, ritenere sbagliato il merito di questi quesiti referendari sul lavoro non significa mettere in discussione, il prezioso strumento del referendum», conclude.