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Quattro ragazzi e una storia infinita, i Pooh annunciano il nuovo tour: l’ultima tappa sarà a Bari

Nel 2026 i Pooh compiono sessant’anni. È una di quelle cifre che fanno vertigine perché non parlano solo di musica, ma del tempo stesso. Per celebrarla, la band – Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Red Canzian e Riccardo Fogli – annuncia «POOH 60 – La nostra storia», un tour nei principali palasport italiani: quattordici date tra settembre e ottobre, due per ogni città, più una doppia data zero a Bergamo. L’ultima tappa sarà a Bari, il 30 e 31 ottobre 2026, al Palaflorio. Ogni concerto avrà una scaletta diversa, un racconto parallelo di sessant’anni di canzoni e amicizia, di pop che ha attraversato epoche e mutazioni tecnologiche restando fedele a un suono di coralità. Le scenografie e le immagini saranno costruite come una retrospettiva vivente, il tentativo, dichiarato, di ripercorrere tutta la loro storia come si ripercorre un film di famiglia: spezzoni, volti, voci che riaffiorano. Non solo una tournée, ma un modo di interrogare la propria memoria collettiva. Perché i Pooh – con oltre cento milioni di copie vendute – non sono mai stati solo un gruppo musicale: sono un luogo della memoria italiana, come certe fotografie scolorite in cui ci riconosciamo ancora.

L’architettura del tempo

Quando nel 1966 Valerio Negrini li fondò a Bologna, nessuno poteva immaginare che quella formula pop, ordinata e sentimentale, avrebbe resistito così a lungo. In un’Italia che cercava ancora la propria modernità, i Pooh introdussero una disciplina musicale quasi artigianale: armonie a quattro voci, scrittura melodica ma non banale, attenzione al dettaglio sonoro. Nel 1971 arrivò Stefano D’Orazio, e con lui la batteria diventò parte della narrazione: un ritmo più asciutto, teatrale, che portava la canzone verso la scena. Nello stesso anno Negrini lasciò lo strumento per dedicarsi alle parole, e fu lì che i Pooh trovarono il loro tono interiore. I suoi testi non si accontentavano della dolcezza ma evocavano anime in transito. «Pensiero», «Pierre», «Noi due nel mondo e nell’anima»: dietro ogni melodia c’era una domanda morale, la ricerca di senso dentro la vita quotidiana. Negrini scriveva come un cronista dell’anima borghese, con lo sguardo dei poeti che amano la chiarezza.

Il poeta e il tempo che resta

Negrini è scomparso nel 2013, D’Orazio nel 2020. Eppure i Pooh non si sono fermati, non solo per ostinazione ma per fedeltà. Ogni volta che salgono sul palco, quei due assenti ritornano nella voce dei presenti, nei testi che hanno lasciato, nella forma che hanno costruito insieme. Il tour del sessantennale, con le due date baresi come epilogo, diventa così una cerimonia della memoria: un viaggio musicale che ripercorre sessant’anni di amicizia.

Il figliol prodigo

Non solo ricordi, anche ritorni. Dopo gli anni da solista, Riccardo Fogli è di nuovo parte del gruppo, come se la parabola individuale si fosse chiusa nel suo punto d’origine. È lui oggi la voce che unisce passato e presente, quella che dà corpo all’idea di una band che non invecchia, ma si ricompone.E forse è proprio questo il segreto dei Pooh: aver saputo trasformare la nostalgia in continuità, la separazione in armonia. Tornare a essere quattro, come un accordo pieno.Al di là delle epoche, il suono del tempo continua a passare da lì, da un palco, da una canzone. Da quattro ragazzi che non hanno mai smesso di suonare.

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