«Il mio sogno nel cassetto l’ho realizzato, mi sento fortunata e sono felice: sono una burattinaia!». La voce gioiosa e squillante, piena di grinta ed entusiasmo è quella di Anna Chiara Castellano Visaggi, nata a Bari nel 1977, in una calda giornata d’estate. I suoi primi ricordi di bambina pullulano di fervida immaginazione e sono un preludio di quel che sarà la sua la vita da grande: oggi è una tra le poche e più talentuose animatrici del teatro di figura d’Italia. Anna Chiara bimba, tra i banchi di scuola, scruta una matita e questa, ai suoi occhi, diventa un gabbiano; tocca una gomma da cancellare e la stessa si trasforma in un drago; qualsiasi oggetto le capiti tra mani, da un cartoncino al righello, la lascia incantata e la porta «con la testa tra le nuvole».
Il desiderio di animare l’inanimato da dove nasce esattamente?
«Dal programma televisivo Rai degli anni ‘90 “L’ albero Azzurro”, con l’attore teatrale e circense Claudio Madia; ne rimasi affascinata. Ci si immergeva nell’universo dell’infanzia, del colore e della musica e mi riportava alle atmosfere magiche del teatro, quello a cui la mia famiglia mi aveva abituata, fin da piccola e per questo son loro grata».
E nel mondo dei burattini come ci è entrata?
«Con un corso per giovani burattinai, nel 2000, al Granteatrino Casa di Pulcinella di Bari. Lessi per caso il nome del grande maestro Natale Panaro, lo scultore, illustratore e realizzatore di maschere. Per me era un mito; avevo 23 anni e da quel corso della durata di un anno non mi sono più staccata e da allora faccio parte della squadra del teatro stabile dedicato all’infanzia, allo stadio della Vittoria. Al principio non ci speravo affatto visto il mio carattere schivo e di poche parole, non immaginavo che avrei animato quegli stessi pupazzi costruiti dalle mani abili di Panaro».
Sono 25 anni che lei sale sui palchi di ogni dove a far felici i bambini, dal Brasile alla Francia, dall’Albania alla Svizzera e tanti altri Paesi. Quale l’emozione più intensa e che spiega il valore profondo del suo lavoro così anticonvenzionale?
«Quando sono andata in Kenya, in un orfanotrofio. Lì, durante gli spettacoli, ho visto lo sguardo stupefatto dei piccoli: per loro i burattini sono meravigliosi, più di mille altri oggetti a cui noi diamo importanza. Ero in piena sintonia».
E così per tutti i bambini del mondo?
«In una società dove la tecnologia, il virtuale è pane quotidiano anche per i minori, le dico che invece il teatro vince sempre. Se diamo loro un’alternativa fatta di gioco e fantasia, il cellulare o l’iPad passano in secondo piano, scompaiono».
Vista la sua esperienza anche in giro per le scuole, il burattino è terapeutico?
«Si, come sosteneva lo psichiatra Franco Basaglia e mi vengono in mente i laboratori per i ragazzi affetti da autismo realizzati insieme al professor Stefano Costa, psicomotricista. I ragazzi riescono ad interagire con il burattino, “gli parlano, gli raccontano insicurezze e fragilità e il rapporto che hanno con i genitori”. Ricordo che una volta dopo uno spettacolo in una scuola una bambina si avvicinò al fantoccio, dietro la baracca e “gli confidò” che i genitori si stavano separando e prendendo tra le mani due burattini iniziò a imitare i litigi che avvenivano in casa».
Qual è, oltre alla passione, il segreto per intraprendere questo mestiere antico e ancora vivo?
«Salire sul palco e rendersi invisibili; far “brillare” solo il burattino. Il complimento più bello è quando mi chiedono se sono io ad aver animato il personaggio. Anna Chiara si è laureata all’Accademia di Belle Arti di Bari e nel suo curriculum ha anche esperienze nel campo della lirica con Maria Grazia Pani, soprano e regista. La sua vita è “regalare un’anima” ai pupazzi e crescere le sue due figlie, Matilde di 15 anni e Serena di 12».
Quale burattino le è rimasto nel cuore?
«Il primo, “L’Asinello Sansone” in “Pulcinella al circo”. Il primo amore non si scorda mai».