L’anno prossimo a Bari e dintorni ci saranno 2.554 disoccupati in più rispetto al 2022. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia sulla base di un’elaborazione dei dati Istat e delle previsioni Prometea. Secondo l’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, infatti, nel Barese nel 2023 ci sarà un aumento degli inattivi pari al 5,9%: dagli attuali 43.570 si passerà a 46.124 disoccupati, portando il capoluogo di regione ad essere la sesta provincia (su 107) per variazione assoluta. Peggio di Bari dovrebbero fare (il condizionale è d’obbligo dato che si tratta di previsioni) solo Napoli (+5.327), Roma (+5.299), Caserta (+3.687), Latina (+3.160) e Frosinone (+2.805), tutte città dell’Italia centro-meridionale, la zona geografica più “colpita”.
«Per l’anno venturo – si legge nel documento – le previsioni economiche non sono particolarmente rosee; rispetto al 2022 la crescita del prodotto interno lordo e dei consumi delle famiglie è destinata ad azzerarsi e ciò contribuirà a incrementare il numero dei disoccupati» che, in tutta la Penisola, dovrebbe raggiungere le 63mila unità, riportando il tasso dei senza lavoro ai livelli del 2011.
Sebbene non sia facile, allo stato attuale, stabilire quali saranno i settori maggiormente interessati dalla riduzione di lavoro, quelli che potrebbero subire un contraccolpo maggiore – stando alle stime – sono i comparti manifatturieri, soprattutto quelli energivori e più legati alla domanda interna. Le imprese più attive nei mercati globali – tra cui quelle che operano nei settori del metalmeccanico, dell’alimentare e dell’alta moda – dovrebbero essere quelle meno esposte. Come sostengono esperti e imprenditori, i settori dei trasporti, la filiera automobilistica e l’edilizia (forse il comparto più penalizzato a causa delle modifiche legislative sul Superbonus) potrebbero registrare le perdite più significative. Nel report della Cgia non vengono dimenticate la crisi pandemica e quella energetica, che hanno «colpito soprattutto le partite Iva che, a differenza dei lavoratori subordinati, sono più fragili» perché hanno meno tutele: «Rispetto ai dipendenti, ad esempio, non dispongono di malattia, ferie, permessi, Tfr».
Ma non è tutto. Pure Bari, come le altre grandi città, sta subendo la chiusura di tante piccole attività economiche, in centro come in periferia, «gettando nell’abbandono interi isolati, provocando un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita per chi abita in queste realtà». E questo rischia di mettere a serio rischio la coesione sociale.