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Maria Antonietta, professione pastora: «Il mio sogno? Continuare a vivere libera» – L’INTERVISTA

«Il mio sogno? Continuare a fare il mio lavoro: la pastora», a parlare è Maria Antonietta Scalera, 35 anni, bella, bruna. Forte. Di una forza che arriva dalla consapevolezza di sé, dalla passione per le proprie radici. Maria Antonietta dalla terra dove vive, nell’Alta Murgia non si è mai allontanata. Ha studiato Agraria e già da ragazzina voleva fare questo lavoro, quello di suo nonno e di suo padre. La sua famiglia ha una azienda agricola, campi sterminati brulli d’inverno, fioriti in primavera, assettati dal sole d’estate e poi ci sono pecore, galline, mucche, una fattoria vera e propria che per i viaggiatori che decidono di intraprendere il cammino materano è una sosta obbligata. Qui si fermano ad acquistare formaggi prelibati, salumi e si godono la natura.

Come e quando ha scelto di fare questo lavoro?

«Non ho mai pensato ad altro. Non mi vedo in altro. La terra è la natura. Ha voci, profumi. Connettersi alla natura è un privilegio».

E non si sente mai sola?

«Ma io ho una vita sociale come chiunque altro della mia età, sono solo molto fortunata perchè vivo ogni giorno facendo ciò che amo».

Ma quando lei è via, per ore al pascolo con capre e pecore, che fa? Non è sola?

«Ma non sono mica sola. La natura è viva. E poi ho un gregge da seguire: cento pecore, cinquanta capre. Ho i miei cani. Ho i suoni del vento, i colori delle stagioni. A volte porto con me un libro, leggo. Poesie. Altre volte mi diverto a raccogliere le nostre erbe: gli asparagi, le cicorelle, la borragine. Tutto cambia a seconda della stagione, come è giusto che sia».

Il telefonino lo lascia a casa?

«No. Non sempre almeno. Ma mi serve poco. Lo uso come deve essere utilizzato. Gli do’ il giusto valore: una cosa, uno strumento per le emergenze».

Questo non crede che sia un lavoro non femminile? O meglio lei ha avuto difficoltà come donna a fare in modo che altri la immaginassero pastora?

«No. Perchè sono cresciuta nei campi. I miei fratelli, ne ho due, hanno deciso di fare altro, mia madre è una insegnante, mio padre ha sempre vissuto in azienda che ha avuto in eredità da mio nonno e mi ha insegnato a coglierne la bellezza. E’ una fortuna nascere qui, nella mia amata Murgia e poi se proprio vogliamo fare una differenza di genere, ma per me è uguale, credo che le donne sappiano prendersi cura. Io faccio questo. Mi prendo cura e la natura si prende cura di me».

Come azienda siete spesso una tappa per i turisti che intraprendono il cammino materano, a loro fate fare turismo esperenziale?

«Guardi questo termine ormai è divenuto un business. Confesso di non amarlo. L’esperienza è ciò che ci sentiamo di fare, è come vogliamo accogliere ciò che è attorno a noi. Mio padre la domenica fa le mozzarelle, le fa assaggiare, chi vuole si ferma. Tutto qua. A noi basta quello che abbiamo e mi creda è tanto. Io vivo da sola in una depandance dell’azienda, mangio di ciò che mi offre la natura».

Tutto a chilometro zero, dunque, ma i vostri prodotti li esportate?

«No, che cosa sarebbe l’identità se poi si trova tutto ovunque. Chi vuole assaggiare i nostri formaggi e salumi viene da noi, al massimo possiamo fare un pacco se si vive lontano e ci viene richiesto come spedizione, intendo. Non di più. Ma è cosa rara. Noi siamo la Murgia. E siamo qui, in questo luogo preciso del mondo».

Secondo lei questo è un lavoro per le generazioni future, per i giovani?

«Potrebbe esserlo, perchè no? E’ una attività meravigliosa. Ritornare ad avere un contatto con la natura significa benessere. E’ la nostra fonte di vita. Poi significa anche ripartire da noi stessi, avere dei tempi per pensare. E infine, non le sto a dire tutti i benefici di ciò che non è contraffatto, ma naturale, perchè non farei altro che ripetere ciò che i nutrizionisti dicono da anni. Questo glielo risparmio. Di certo vedo che c’è una più piena consapevolezza del valore della terra e dell’identità. E ne sono felice. Poi ci sono sfide che vanno affrontate come il cambiamento climatico, io credo che la natura voglia comunicarci qualcosa».

Ne parla come se, andare per i campi, fosse una meditazione, un viaggio introspettivo.

«Può esserlo».

E può essere anche economia.

«Assolutamente. Intanto posso dire che se io fossi chiusa in un ufficio mi sentirei in gabbia, anche se solo per poche ore. Ma a questo aggiungo che non è sempre facile portare avanti una masseria come la nostra».

Intende per la burocrazia?

«Sì, è il cruccio dei miei genitori. Mio padre a volte mi dice di mollare tutto, perchè ci sono tasse, vincoli, carte da fare. Ma sotto, sotto sa che non potrei mai. Qui c’è sacrificio, lavoro, fatica fisica, ma anche tanta felicità».

Partiamo dall’inizio, ci racconti le sue giornate. Non sono tutte uguali?

«Scherza? Cambiano con le stagioni e poi c’è anche un senso di precarietà di cui tener conto, che muta col clima, con gli imprevisti. Io in genere non mi sveglio prestissimo, come si può immaginare: diciamo verso le 7.30 di inverno, perchè le pecore e le capre vanno portate al pascolo quando non c’è il freddo delle prime luci del mattino. In genere per le 9 si esce e si torna per le 12.30. Io mi occupo anche della mungitura, della pulizia delle stalle e dei box. Ho cura. Sì, mi occupo dei nostri animali. Chiaramente d’estate è l’inverso, si cerca di uscire presto, per evitare il sole forte. Non mi fa paura la pioggia, nè il vento. Io qua mi sento libera, sulla mia Murgia».

E non ha un desiderio?

«Restare. Continuare a vivere come vivo, connessa e parte della natura. Le sembra un piccolo sogno?»

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