Sono arrivati a piedi, dal Cara di Palese al palazzo della Prefettura. La determinazione di chi non ha più nulla da perdere e di chi è stanco di non essere mai ascoltato. I migranti sono scesi in piazza dopo l’ennesima morte, la terza in sei mesi, nel centro. La richiesta è quella di farsi sentire, dalle istituzioni e dalla stampa, e far sapere cosa effettivamente accade in quel piccolo mondo chiuso. A farsi mediatore delle richieste delle più di cento persone che hanno marciato armate di cartelli, Afana Docteur.
Perché questa manifestazione?
«Perchè vogliamo parlare delle condizioni di vita nel Cara. In più di dieci in un container, non possiamo uscire, ci sono degli orari stabiliti. Le condizioni di vita sono al limite. Andate a vedere i bagni. Perchè dei migranti vengono tenuti in un’area militare? Non sono dei mafiosi o delinquenti, ma sono persone imprigionate perché il Cara è una prigione, un bunker».
Cosa vi aspettavate arrivati in Italia?
«Niente di più che avere riconosciuti i diritti che sono di tutti. Noi vogliamo andare a lavorare, ma siamo costretti a scavalcare un muro di 6 metri con filo spinato per farlo, perchè non possiamo uscire fuori orario. Alimentiamo il lavoro nero, lavoriamo nei campi ma, non avendo i documenti, non abbiamo diritto ad un contratto. Ma la colpa non è solo del datore di lavoro, è dello Stato che indebolisce l’immigrato che, senza documenti, accetta qualsiasi cosa pur di sopravvivere. Ma se fossimo messi in condizione di legalità, potremmo negoziare il nostro contratto di lavoro. Al Cara come poket money ci danno una ricarica Laika, e da una settimana neanche la danno più, è a discrezione del direttore. I migranti prendono la ricarica e vanno a svenderla ai negozianti a 3.50 euro. Perdiamo 1,50 euro del pocket money. Questo è un racket, è il business dell’immigrazione alimentato dallo Stato».
Che colpe attribuite alla politica?
«La politica ci prende in giro. Destra o sinistra non c’è alcuna differenza. Almeno la destra ci dice in faccia che non ci vuole, ma la sinistra fa peggio, parla di riconoscimento di diritti e fa finta di aiutarci quando in realtà non fa nulla. L’immigrazione non si racconta, qui ci sono persone che vengono trattate come animali. Ho fatto il barcone, ho fatto il Cara e il ghetto di Foggia e conosciamo benissimo come si vive. Nessuno sa quello che succede realmente, ma non siamo ascoltati».