La voce al telefono sull’utenza della polizia postale di Foggia, non aveva voluto dare il suo nome. Ma era sicuro di quel che diceva quando raccontava all’ispettore di essersi imbattuto, durante i suoi viaggi sul web, in numerose cartelle dal contenuto pedopornografico, a disposizione degli utenti su un certo indirizzo.
Null’altro, ma tanto era bastato all’agente specializzato per aprire la Babele di uno spaccato inquietante nel quale bambini di ogni età, anche minori di un anno, venivano violentati e fotografati. Nasce così, il 15 settembre 2020, la nuova indagine della polizia postale, “Revelatum”, per il contrasto della pedopornografia online, conclusasi ieri con l’esecuzione di 67 decreti di perquisizione su tutto il territorio nazionale, l’arresto di 8 persone (tra cui un uomo foggiano) e la denuncia di altre 59 per detenzione, cessione e divulgazione di materiale pedopornografico.
L’indagine, curata dalla Postale di Foggia e Bari con il coordinamento del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni – C.n.c.p.o. (Centro Nazionale di Contrasto alla Pedopornografia Online), e quello delle pm baresi Carla Spagnuolo e Daniela Chimienti, ha squarciato il velo su un traffico di immagini e video suddivise in categorie, il cui nome faceva già rabbrividire. Sul sito, riconducibile a un dominio neozelandese, gli agenti hanno trovato una cartella chiamata “Porno”, della dimensione di 45 giga, in cui erano state inserite 19 sottocartelle, denominate anche in italiano, con terminologie riferibili al genere di file contenuti. Si andava da “10-14”, relativa all’età dei protagonisti dei video, al “Telegram video”, riferiti a porno e pedoporno autoprodotto, fino al “Napoli Revoworld”, cartella nella quale era contenuto un mondo di immagini porno e pedoporno anche in questo caso autoprodotte. I successivi accertamenti degli investigatori hanno portato alla scoperta di video aventi come inconsapevoli protagonisti bambini di età inferiore ai dieci anni, alcuni dei quali di uno.
La società neozelandese proprietaria del dominio, interpellata dagli inquirenti, ha poi consegnato l’IP dell’utente che aveva creato la cartella, un italiano. Da lì poi le indagini sono proseguite accertando che 2.643 persone avevano scaricato il materiale, condividendolo su un proprio spazio cloud, acquistato on line. Il dominio neozelandese, infatti, metteva a disposizione degli spazi di dimensioni diverse: da 50 megabyte (free) o fino a 16 terabyte (a pagamento), a seconda delle necessità del cliente, che si iscriveva con un account di posta elettronica e una password di sua scelta, sul quale poi veniva inviata una mail di verifica, da parte del dominio, per assicurarsi del reale possesso da parte dell’utente della mail indicata in fase di registrazione. Solo dopo l’utente poteva accedere al suo spazio personale, ottenendo anche una password alfanumerica per recuperare le credenziali eventualmente smarrite o dimenticate. A quel punto poteva iniziare a gestire il suo spazio, caricando cartelle già pronte o creandone di nuove. Ma non solo: aveva anche la possibilità di inserire in una rubrica privata i contatti, allo scopo di avviare chat tramite portale e scambiarsi foto e video. Un meccanismo che tutti gli utilizzatori del cloud hanno adottato consapevolmente, come fanno notare gli inquirenti, gestendo a loro piacimento il loro spazio dell’orrore. Dall’idnagine emerge che non si sono limitati a scaricare i files, ma ne hanno condivisi altri, creandosi un proprio oscuro archivio personale. Da una successiva verifica sul portale gestito dal Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia on line della polizia postale di Roma e che memorizza tutte le indagini sulla tipologia di reato, è emerso che 63 di quegli account erano già stati oggetto di segnalazione.
Nell’ambito della stessa indagine è coinvolto un 52 enne foggiano, che era già agli arresti domiciliari per essere stato trovato in possesso di materiale pedopornografico, in una inchiesta coordinata dalla pm Angela Morea. Domiciliari che sono stati confermati dalla gip Valeria Isabella Valenzi, ritenendo ci fosse pericolo di reiterazione del reato, considerando «la mole di materiale pedopornografico detenuta e la pluralità dei dispositivi su cui le immagini sono state conservate, tra cui la memoria cloud accessibile dal telefono cellulare, che depongono per l’inclinazione del soggetto ad approvvigionarsi in maniera variegata».