Una rete sotterranea, un mercato clandestino fiorito nel pieno dell’emergenza sanitaria e un presunto funzionario della Asl Bari che, come un’ombra, avrebbe avuto accesso alle chiavi del sistema informatico destinato a certificare le vaccinazioni dei cittadini pugliesi. Attorno a questa figura ancora ignota ruota l’inchiesta che ha portato 68 persone davanti al giudice, nel processo sulle false certificazioni vaccinali usate per ottenere green pass fasulli durante il periodo più delicato della pandemia.
L’accusa
Secondo gli inquirenti, l’ignoto operatore sarebbe riuscito a introdursi nella piattaforma «Puglia Salute» utilizzando credenziali autentiche, forzando i protocolli di sicurezza e inserendo, a nome di utenti compiacenti, vaccinazioni mai avvenute. Un’operazione chirurgica, ripetuta decine di volte con estrema disinvoltura, tanto da insospettire solo mesi dopo i tecnici del sistema regionale, che hanno iniziato a notare anomalie nei dati caricati.
Il meccanismo, ricostruito dagli investigatori, era semplice e allo stesso tempo spietato nella sua efficacia: un’organizzazione di intermediari sul territorio intercettava persone desiderose di sottrarsi alle regole sanitarie, alla necessità del vaccino e alle restrizioni imposte dal green pass. Bastava il nome, il codice fiscale e una somma modesta: tra i cinquanta e i cento euro. In cambio, il cliente otteneva un certificato perfettamente valido agli occhi dello Stato. Un prezzo basso, troppo basso, che avrebbe contribuito a far proliferare la domanda.
I numeri sospetti
Secondo l’accusa, furono proprio i numeri sospetti a far scattare l’allarme: certificazioni generate in orari inconsueti, registrazioni in lotti troppo ravvicinati e, soprattutto, l’assenza di corrispondenze nei centri vaccinali. Una serie di indizi che ha portato alla scoperta di una macchina ben oliata, capace di aggirare ogni controllo previsto in quel momento di massima emergenza sanitaria. Gli investigatori ritengono che l’intero sistema si reggesse proprio sull’azione del misterioso funzionario, l’unico in grado di autenticarsi alla piattaforma e di inserire dati sensibili senza essere immediatamente individuato.
Un ruolo centrale e ancora irrisolto, che rende il processo uno dei più delicati legati alla gestione delle misure anti-Covid nella regione. La sua identità, o le sue identità, qualora si trattasse di più persone, rimane la parte oscura dell’indagine dalla quale emerge la presenza determinante, eppure invisibile, che consentiva all’intera rete di operare nell’ombra. Intorno a questo nucleo tecnico, secondo la procura, si muovevano procacciatori, contatti, persone incaricate di raccogliere le richieste e di incassare il denaro.
Il sistema
Un sistema che ricordava una vera e propria catena commerciale parallela, in grado di fornire a decine di cittadini un documento che era obbligatorio per lavorare, viaggiare, entrare nei locali, aggirando di fatto le norme imposte per contenere la diffusione del virus. Il processo cercherà di ricostruire ogni passaggio cercando di svelare chi gestiva i contatti, come venivano stabilite le tariffe, come venivano scelti i nominativi da inserire e, soprattutto, quale fosse la funzione e la responsabilità del presunto operatore della Asl Bari.
Una figura definita dagli inquirenti «determinante e ancora oggetto di approfondimento», la cui eventuale identificazione potrebbe riscrivere le responsabilità dell’intero gruppo. Intanto, il caso continua a far discutere per le sue implicazioni etiche e sociali: nel momento in cui la popolazione affrontava una delle più dure emergenze della storia recente, un sistema parallelo lucrava sulla paura, sul rifiuto del vaccino e sulla necessità di eludere i controlli. Una pagina oscura che oggi torna a galla nelle aule di giustizia, dove si cercherà di fare luce non solo sulle condotte dei 68 imputati, ma anche sulle falle che resero possibile un fenomeno così strutturato.