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Bari Cronaca

I rampolli dei boss armati in discoteca, Eugenio Palermiti resta in carcere: «Pericolo ritorsioni»

Il tribunale del Riesame di Bari ha confermato il carcere per il 21enne Eugenio Palermiti, nipote omonimo del boss mafioso del quartiere Japigia, perché se fosse lasciato libero potrebbe tornare armato in discoteca e potrebbe organizzare ritorsioni nei confronti di Michele Lavopa, il 21enne di Bari che la sera tra 21 e 22 settembre 2024 sparò e uccise per errore la 19enne Antonia Lopez all’interno della discoteca “Bahia” di Molfetta.

Palermiti fu arrestato lo scorso 17 gennaio per porto e detenzione abusiva di arma da fuoco, aggravato dal metodo e dall’agevolazione mafiosa. Con lui fu arrestato anche il 29enne Savino Parisi, nipote del boss “Savinuccio”: a lui e Palermiti era contestato il porto abusivo d’arma in una serata nella discoteca “Divinae Follie” di Bisceglie. Un’accusa mossa sulla base di alcune intercettazioni tra i due, ma che – secondo i giudici – non sarebbe stata adeguatamente provata.

Per questo, quel capo d’imputazione (l’unico contestato a Parisi) è stato annullato e il 29enne è tornato in libertà.

Palermiti la sera in cui morì la sua amica Antonia Lopez era con la 19enne e con altri amici al “Bahia” e sarebbe stato lui il vero bersaglio dell’azione di Lavopa con il quale avrebbe avuto in passato degli screzi. Palermiti, come ricostruito poi dalla Dda, in discoteca era armato e avrebbe tentato di tirar fuori l’arma che aveva con sé durante un diverbio con il rivale, scatenando la reazione di Lavopa. Nell’azione di fuoco rimasero lievemente feriti Palermiti e tre suoi amici.

Il Riesame, nelle motivazioni del provvedimento, spiega come quella sera Palermiti si sia comportato come un vero mafioso, presentandosi armato nel locale ed entrando senza pagare. Una prassi consolidata – aggiunge – per i rampolli dei clan baresi, che nelle discoteche entrano armati potendo contare, spesso, sulla connivenza sia dei buttafuori che dei gestori dei locali. La sola presenza di Palermiti, spiega ancora il tribunale, avrebbe creato una condizione di assoggettamento tanto nei bodyguard quanto nei presenti, al punto che nessuno degli oltre mille partecipanti a quella serata ha raccontato agli inquirenti di aver assistito ai fatti. E questo, per i giudici, si spiegherebbe con l’omertà indotta dall’appartenenza al clan del 21enne.

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