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Francesca Lagattola e le cartellate salate: «Grazie alla cucina pugliese ho superato la malattia e aiuto gli altri» – L’INTERVISTA

Metti su di un “tavolo” ingredienti come la sensibilità, l’empatia, la pazienza, il sorriso, la tenacia e la resilienza; mescola il tutto e vien fuori Francesca Lagattolla, classe ‘76, nata e cresciuta in una corte nel cuore della città vecchia di Bari, sotto l’ala protettiva della Basilica di San Nicola. Un papà mai conosciuto perché…

Metti su di un “tavolo” ingredienti come la sensibilità, l’empatia, la pazienza, il sorriso, la tenacia e la resilienza; mescola il tutto e vien fuori Francesca Lagattolla, classe ‘76, nata e cresciuta in una corte nel cuore della città vecchia di Bari, sotto l’ala protettiva della Basilica di San Nicola. Un papà mai conosciuto perché morto giovane e una mamma che da sola ha allevato due figli. Poi Francesca si sposa, ha due bambini, inizia la sua vita di moglie e madre con entusiasmo e lavora in una farmacia e come babysitter, per far quadrare i conti a fine mese. Poi arriva un tumore al seno e da lì tutto cambia. In peggio? No, in meglio come si vedrà e la rinascita pian piano ha il sapore delle ricette tipiche pugliesi. Da diverso tempo, muovendosi nella realtà del volontariato, organizza laboratori di cucina girando per associazioni, centri per ragazzi con disabilità, scuole per stranieri e case di riposo ed è diventata l’ideatrice della cartellate salate.

E la sua malattia?

«È stata il motore di tutto. Nel faticoso percorso di cura mi sono interfacciata con quel mondo bello di chi si prodiga per il prossimo e mi è venuta voglia di mettermi in gioco, di restituire».

Come è nata quindi l’idea di metter le mani in pasta?

«Sette anni fa, in occasione della comunione di mio figlio, in una sala ricevimento pugliese. Nei giorni successivi alla festa, il proprietario dopo avermi conosciuta e aver ascoltato la mia storia, mi contattò chiedendomi di preparare delle cartellate. Sapeva che provenivo dai vicoli del borgo antico, lì dove regge la tradizione, quella che invoglia mamme e nonne a tramandare l’arte dei fornelli. Abbiamo così unito gli intenti e il risultato son state le dimostrazioni live di cucina per il benvenuto agli sposi».

E ha iniziato con le cartellate?

«Si e quella che ha tanto successo è la versione salata. Poi ho “allargato le mani” e mi sono dedicata alla preparazione delle chiacchiere, scarcelle, zeppole e così via».

Qual è la soddisfazione più grande?

«Vedere la gioia negli occhi di chi vuole imparare. Penso per esempio agli ospiti del Villaggio degli Eroi, il Centro servizi sociali; mi accolgono con gli abbracci».

Si è recata con i suoi “dolci attrezzi” del mestiere anche nella ludoteca dell’oncoematologia pedriatica del Policlinico, per un laboratorio; le è tornata in mente la sua malattia ormai superata?

«So quello che stanno provando e di cosa hanno bisogno e gli ingredienti come la farina e zucchero diventano coriandoli di gioia. La malattia mi ha portata a donare».

Tra i corsisti, tanti sono anche uomini, chi si impegna di più?

«Gli stranieri. Imparano l’italiano e a cucinare. Non perdono un solo passaggio nella catena di montaggio gastronomica. Sono attenti e volenterosi, dai russi ai messicani o ecuadoriani. Il linguaggio del gusto unisce i popoli e viaggia di bocca in bocca».

Il suo slogan la dice lunga: “C aspitt ad assaggià”. È un invito che sa di monito?

«Vorrei che non si perdessero le tradizioni; Bari vecchia finalmente è piena di turisti, un flusso inarrestabile e i veri turisti ci sentiamo noi residenti. Usciamo da casa e guardiamo un mondo sconosciuto, nuovo; talvolta ci sembra di stare a Capri. Ho un Bed & Breakfast, nella casa lì dove abitava mia madre, prima di trasferirsi, e incontro moltissimi stranieri. Spesso quando ho molta fretta devo cambiare strada altrimenti resto bloccata tra la gente. In questo cambiamento così forte è importante che resistano le usanze di un tempo, a partire dalle specialità culinarie».

Dal tumore alla rinascita sul filo del buon cibo tipico, un bell’esempio di rinascita. Qual è il suo sogno?

«Mi piacerebbe aprire una bottega tutta mia». Francesca, alle soglie dei 50 anni, non si perde mai d’animo e in questa avventura ha coinvolto anche la figlia ventitrenne, Gabriella».

La segue a ruota?

«È diventata “cartellista” e spero faccia tesoro di tutto, per un futuro all’insegna della tradizione».

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