Quattro esponenti del clan Strisciuglio sono stati arrestati stamattina a Bari dagli agenti della polizia di Stato su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia.
I quattro, stando a quanto emerso dalle indagini, tra il novembre e il dicembre del 2018 avrebbero imposto il “pizzo” agli ambulanti abusivi che vendevano fuochi pirotecnici natalizi nel quartiere Libertà del capoluogo pugliese. Numerosi, inoltre, gli episodi di detenzione e porto illegale di armi da fuoco, utilizzate anche per esplodere colpi in aria a scopo intimidatorio, anche in occasione di conflitti con altri clan. Durante le indagini, poi, sono stati ricostruiti anche diversi episodi di spaccio di cocaina, hashish e marijuana.
Le indagini seguite all’omicidio Rafaschieri
Gli arresti arrivano a seguito delle indagini avviate nel 2018 a seguito del tentato omicidio di due pregiudicati, esponenti del clan Palermiti, avvenuto nel quartiere Madonnella di Bari.
Nell’estate di quell’anno, la frangia del clan Strisciuglio del quartiere San Paolo, tentò di conquistare la fiorente attività di spaccio di droga a Madonnella, cercando di estromettere il clan Palermiti, da sempre dominante nel quartiere.
La sera del 18 settembre i due pregiudicati del clan di Japigia viaggiavano su uno scooter: il commando armato, a bordo di un’auto rubata e di tre moto, aprì il fuoco, incurante della presenza di ignari cittadini che passeggiavano per strada.
Il passeggero dello scooter riuscì a sottrarsi ai proiettili esplosi da un revolver Colt 38 special e da una pistola semiautomatica CZ, calibro 9 mm, mentre il conducente, colpito in più parti del corpo, dopo un delicato intervento chirurgico e una lunga degenza ospedaliera, riuscì a salvarsi.
La risposta del clan Palermiti per l’agguato del 18 settembre non tardò ad arrivare: sei giorni dopo, il 24 settembre, nel quartiere Carbonara di Bari, Michele Walter Rafaschieri fu assassinato e suo fratello rimase gravemente ferito.
Il 18 giugno 2024, la squadra mobile di Bari arrestò dieci pregiudicati responsabili dell’agguato armato mafioso del 18 settembre 2018.
Il “procedimento stralcio” che ha portato agli arresti
Dal procedimento penale originario, relativo al duplice tentato omicidio, si sono sviluppati due procedimenti stralcio: con il primo, il 29 dicembre 2018, sono stati sottoposti a fermo di indiziato di delitto sei esponenti del clan Strisciuglio del quartiere Libertà, ai quali è stata contestata una tentata estorsione in danno dei titolari di un’agenzia di onoranze funebri, la detenzione ed il porto illegali di armi da fuoco, l’esplosione di colpi di arma da fuoco sulla saracinesca di un circolo ricreativo.
Il secondo procedimento stralcio, sempre relativo a persone vicine al clan Strisciuglio del quartiere Libertà, è quello che ha portato oggi all’arresto dei quattro esponenti di spicco del sodalizio mafioso.
Il gip: «Ostentazione plateale di violenza»
Ai venditori abusivi di fuochi d’artificio del quartiere Libertà di Bari avrebbero chiesto soldi (tra i 100 e i 300 euro per bancarella) o batterie di fuochi per poterli vendere nel territorio di competenza del clan Strisciuglio. A due venditori, poi, il 25enne Ivan Caldarola avrebbe chiesto 5mila euro in fuochi pirotecnici per “dare il pensiero a papà” Lorenzo, capo dell’articolazione del Libertà del clan, e per mantenere amici e compagni in carcere.
Caldarola, oggi, è finito in carcere insieme a Antonio Raggi (25 anni), Francesco Mastrogiacomo (34) e Saverio De Santis (36).
Il gip Francesco Vittorio Rinaldi, nell’ordinanza con cui ha disposto il carcere per i quattro, ha riconosciuto il «ruolo direttivo» assunto da Ivan Caldarola nella commissione dei reati a lui contestati, la sua «speciale capacità» nel «reperire le armi» dagli «ambienti criminali in cui è stabilmente inserito», oltre che la sua «ostentazione evidente e plateale di violenza» e «la sua operatività attuale nell’ambito del clan mafioso» Strisciuglio del quartiere Libertà.
«Aveva voglia di fare il camorrista come noi… il camorrista!», ha detto di Caldarola il collaboratore di giustizia Arturo Amore. Antonio Raggi, invece, sarebbe stato il «braccio destro» di Caldarola, «presentandosi personalmente presso i titolari delle bancarelle per esigere il pizzo».
Per Mastrogiacomo e De Santis ha invece pesato la «dimostrata capacità di accedere ai canali illeciti di rifornimento delle armi». Tutti e quattro sono pluripregiudicati.