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Molfetta, Erri De Luca a un evento su don Tonino Bello: «Difendiamo la vita del nostro pianeta» – L’INTERVISTA

Nel tempo in cui i pensieri si archiviano con uno swipe e le emozioni si sintetizzano in un vocale da un minuto e mezzo, Erri De Luca resta un corpo estraneo. Non perché si opponga – non è tipo da barricate – ma perché, semplicemente, parla un’altra lingua. Quella del silenzio, del tempo lungo, della parola scritta a mano e lanciata nel vento come un sasso contro la vetrina di un’epoca troppo piena di sé. Lo abbiamo incontrato a Molfetta. Lo abbiamo incontrato a Molfetta, nella Cattedrale, durante un evento dedicato alla memoria di don Tonino Bello organizzato dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso, guidata da Pietro Centrone. Niente filtri, niente emoji, niente hashtag. Solo domande. Le risposte? Sono quelle di un uomo che sa ancora rispettare i silenzi, e quindi, quando parla, lo fa per davvero.

Viviamo nell’epoca dei messaggi vocali, delle relazioni liquide, delle vite doppie tra reale e digitale. Lei che ha scelto la solitudine come compagnia, che rapporto ha con la modernità sentimentale?

«La modernità mi sembra poco sentimentale. La facilità di approccio tra maschile e femminile attraverso contatti a distanza produce soddisfazioni fisiche, ma lascia indietro il coinvolgimento emotivo. Mi sento fuori tempo per usare questo sistema di contatti».

Il presente sembra aver perso la pazienza. Tutto deve succedere adesso, o non vale. Ma lei scrive come chi ha tutto il tempo del mondo. Cosa stiamo sacrificando sull’altare della velocità?

«La velocità di un messaggio che sostituisce l’invio di una lettera è una comodità. La velocità di trasporti, esclusi i treni pendolari, lascia più tempo libero. La questione è che farci con questo tempo risparmiato. Usarlo per un videogioco, per un corpo a corpo col proprio cellulare è un balordo spreco del tempo recuperato».

In un mondo in cui l’identità è un cantiere aperto, i legami sembrano più fragili che mai. Cosa resta oggi dell’amore? E cosa, per lei, è degno di essere chiamato tale?

«L’amore è la più forte energia del corpo umano. Ma ha bisogno di una scintilla da fuori per innescarsi. Ha una durata e un’intensità superiore al sentimento opposto, l’odio, che ha bisogno di pause. L’amore tra due persone è un’alleanza che traversa il tempo e si modifica, adattandosi per durare. Meno di questo è solo attrazione».

I social sembrano aver sostituito le piazze. Ma lei crede ancora nella potenza della parola pronunciata di fronte a un volto. Che cos’è, oggi, la vera forma di resistenza?

«L’incontro diretto non è sostituibile. Mi chiede della resistenza: a cosa? Se alle prepotenze e alle ingiustizie è sia individuale che collettiva. In entrambi i casi è giustificata. Ma comporta conseguenze. La considero una virtù civile che, pure in minoranza, contrasta l’indifferenza della maggioranza».

I giovani oggi sono spesso descritti come apatici e disillusi. Eppure, lei continua a scommettere su di loro. Cosa vede che agli altri sfugge?

«È la prima generazione che percepisce il futuro come una minaccia di catastrofi ambientali e non come una promessa. Allora una minuscola minoranza di questa gioventù si fa profetica della necessità di convertirsi ad altra economia e altri stili di vita. Compie azioni insolenti ma innocue. Non teme di esporsi alla riprovazione. Costituiscono la prima di molte gioventù seguenti che praticheranno il loro esempio».

C’è chi parla di “fine delle ideologie”, e chi si barrica dietro i propri dogmi digitali. Dove trova oggi un’idea che valga la pena di essere difesa?

«Penso alla difesa della vita del pianeta Terra, penso a un nuovo patto tra specie umana e habitat».

In un tempo di guerre urlate, lei ha sempre fatto della parola il suo modo di disobbedire. Come si scrive contro l’ingiustizia senza trasformare la pagina in un comizio?

«Si narra la vita delle persone coinvolte dalle distruzioni, le loro separazioni, gli esili, gli sgomenti, le fraternità che incontrano. La narrativa, il teatro, la poesia, il cinema rendono onore alle vite singole, danno loro la parola che i tempi tempestosi hanno ammutolito».

Zelensky, Putin, Trump e Musk: se fossero personaggi letterari, da quali libri arriverebbero?

«Sono marionette buone per il teatrino di un parco. Sono bassorilievi con un profilo solo».

Lei è un uomo che ha scelto il silenzio come parte della propria grammatica interiore. Ma oggi il silenzio fa paura. È diventato sospetto. Cosa ci dice questa incapacità di stare zitti?

«Svolgo l’attività di scrittore, considero le mie parole abbastanza diffuse, dunque non sono soggetto a qualche forma di censura o autocensura. Il silenzio è di chi grida senza essere ascoltato. Un verso del libro dei Proverbi nell’Antico Testamento dice: “Apri la tua bocca per il muto”. Quel muto non è mutilato di corde vocali, è invece privato del diritto di farsi ascoltare. Allora uno che svolge la mia attività è tenuto a prestare la sua voce pubblica per chi è silenziato».

Cosa resta del sacro in un mondo che ha smesso di inginocchiarsi anche davanti alla bellezza?

«Il sacro è inestirpabile. Ci sono epoche a bassa percezione che sostituiscono l’intensità della fede con la credulità verso superstizioni e idolatrie. Ma nei momenti di sconvolgimento riaffiora alle labbra la più alta preghiera al posto dello scongiuro».

Se dovesse scrivere oggi una lettera d’amore al presente – a questo presente – da dove comincerebbe?

«Le lettere d’amore si scrivono a una persona lontana. Al presente posso spedire cartoline con gli auguri».

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