Nelle stesse aule di tribunale che l’avevano riconosciuta quale vittima di violenza, è dovuta tornare per difendersi dall’accusa di atti persecutori nei confronti di quello stesso uomo, l’ex compagno, condannato con sentenza irrevocabile per lesioni personali. Una vicenda paradossale ma reale, di cui è stata vittima una donna di 56 anni, originaria di Bari, e residente nella provincia, a Cellamare.
I fatti
Fra il 2017 e il 2018 la donna, assistita dall’avvocato Antonio La Scala e supportata dall’associazione Gens Nova, aveva denunciato il suo ex, un 55enne, di un altro centro della provincia barese, il quale, pertanto, era stato sottoposto alla misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla donna, a partire dal mese di marzo del 2019. Ed è proprio durante la misura cautelare a cui è sottoposto l’uomo che la situazione si capovolge: quella donna, vittima di violenza, viene indagata e poi imputata per stalking, salvo essere assolta «perché il fatto non sussiste».
Le accuse
Contro di lei accuse puntuali, circostanziate e tutte con lo stesso schema, come se la stessa andasse ogni volta a ricercare i luoghi in cui si trovava l’ex compagno intimandogli di andare via e facendolo anche provocatoriamente in alcuni casi, che fosse in spiaggia, o in pizzeria, o in giro per locali.
Il processo e l’assoluzione
La donna, assistita nel processo dinanzi il Tribunale Penale di Bari, Prima Sezione in composizione Monocratica, dall’avvocata Tiziana Cecere, ha dimostrato che si trattava accuse infondate da parte del suo ex compagno, come d’altronde emerso chiaramente dalla sentenza di assoluzione nei suoi confronti. «Negli ultimi anni – commenta La Scala – le donne vittime di violenza stanno patendo la doppia esposizione giudiziaria nei processi, perchè sembra diventata quasi prassi che gli offender di reati gravi puniti dalla legge n. 69 del 19.7.2019 c.d. Codice Rosso , denunciano le vittime con una controffensiva giudiziaria costruendo castelli probatori che vengono puntualmente smontati nelle aule di giustizia».