Tutti rinviati a giudizio i 68 imputati coinvolti nella maxi inchiesta sui falsi certificati vaccinali durante la pandemia da Covid-19. A deciderlo è stata la giudice delle udienze preliminari, Ilaria Casu. La prima udienza del processo è stata fissata per il 5 marzo 2026 davanti alla seconda sezione del tribunale in seduta collegiale.
Secondo l’accusa, gli indagati avrebbero falsificato, in concorso con un funzionario della Asl ancora ignoto, le attestazioni di avvenuta vaccinazione, per ottenere «Green Pass» non veritieri e poter continuare a lavorare.
L’indagine
L’indagine prende le mosse da una segnalazione interna: una infermiera dell’ospedale di Grumo Appula notò infatti che due suoi colleghi, apertamente contrari alla vaccinazione, continuavano regolarmente a presentarsi al lavoro. Sospettosa, la donna consultò il sistema informatico regionale «Giava Light» di Puglia Salute e scoprì che i due colleghi risultavano vaccinati presso l’hub vaccinale di Bari. Peccato che lei, indicata come somministratrice, non aveva mai prestato servizio in quel centro né ricordava di aver somministrato i vaccini. Dopo aver informato l’allora direttore generale della Asl, che promise di verificare la vicenda, la situazione rimase immutata.
Solo allora l’infermiera decise di rivolgersi ai carabinieri. Le successive indagini hanno rivelato un sistema complesso di falsificazioni: casi di documenti smarriti, duplicazioni di certificati e compravendita di «Green Pass» falsi. Alcune persone erano realmente vaccinate, ma i loro certificati erano stati persi durante il trasferimento dei dati dall’hub all’ospedale. Altri invece avevano scelto di acquistare attestazioni false, mentre un terzo gruppo aveva falsificato i documenti con la complicità di qualcuno interno alla Asl, mai identificato.
L’inchiesta
L’inchiesta conferma come, nel pieno della campagna vaccinale, siano stati messi in atto comportamenti fraudolenti per aggirare le regole e accedere al lavoro senza sottoporsi al vaccino. I 68 imputati, a vario titolo e in alcuni casi in associazione tra loro, dovranno ora rispondere delle accuse davanti al tribunale. La vicenda ha scosso la comunità locale, sollevando interrogativi sulla gestione dei dati sanitari e sulla sicurezza dei sistemi informatici regionali, oltre a sottolineare l’importanza di controlli più rigorosi per evitare che episodi simili possano ripetersi.









