L’amministratore unico dell’Amtab, Luca D’Amore, è stato ascoltato oggi in Tribunale a Bari in un’udienza del processo nato dall’inchiesta “Codice interno” di Dda e squadra mobile del capoluogo pugliese che ha svelato presunti intrecci tra mafia, politica e imprenditoria cittadina.
D’Amore ha riferito che Massimo Parisi, fratello del boss Savinuccio del quartiere Japigia di Bari, in passato è stato presidente del Cral di Amtab, il circolo ricreativo aziendale dei lavoratori che «gestisce i fondi che vengono versati sia dall’azienda sia volontariamente dai singoli dipendenti, e nel corso del tempo ha svolto una funzione assistenziale di finanziamento ai dipendenti che ne avevano necessità».
Nel processo sono imputate 15 persone, tra cui lo stesso Parisi, l’ex consigliera comunale di Bari Maria Carmen Lorusso e il padre, l’oncologo Vito.
Nell’ambito dell’inchiesta (che portò a 130 arresti) fu anche disposta l’amministrazione giudiziaria per l’Amtab e D’Amore, nominato amministratore giudiziario dal Tribunale, è successivamente diventato amministratore unico su nomina del sindaco Vito Leccese.
Il Cral, ha spiegato D’Amore, «elargiva fondi ai dipendenti che ne facevano richiesta, prelevati dal fondo comune» sulla base delle «esigenze più disparate», da quelle «odontoiatriche all’acquisto di auto, ma anche esigenze familiari legate alle utenze domestiche». Il rilascio delle somme era «autorizzato dal presidente del Cral» e quindi, per un periodo, anche da Massimo Parisi. Che, ha spiegato D’Amore, aveva versato nel tempo «quote significative» come «contributo volontario».
D’Amore ha sottolineato che «i rappresentanti temporanei del Cral, in assenza del presidente dopo l’arresto, hanno detto di aver aperto dei conti correnti per Parisi» e per gli altri imputati «Lovreglio e De Tullio». Conti nei quali depositare le quote che questi avevano versato nel Cral.
Massimo Parisi fu assunto nell’Amtab nel 2013, e fino al 2022 è stato autista (ma aveva chiesto «per motivi familiari e di sicurezza» di guidare solo su determinate linee, e non nei quartieri San Paolo e Carbonara) e ha poi ricoperto i ruoli di operatore di rimessaggio e controllore. Recentemente è stato licenziato.
Nel corso dell’udienza, D’Amore ha parlato anche delle misure prese per «escludere i rischi di infiltrazione criminale in tutte le funzioni aziendali».
Per D’Amore «il rischio non è solo nelle assunzioni, ma anche negli appalti, nella gestione aree di sosta, della gestione dei turni degli operatori d’esercizio. Questa situazione ha necessitato di un approccio a 360 gradi, costringendoci ad esborsi ulteriori per attività che prima l’Amtab non aveva mai fatto e che oggi è costretta a fare, perché oggi i soldi sono usati in maniera diversa». L’esempio è quello della società che aveva in appalto la vigilanza: «Se uso soldi per pagare aziende che non fanno il loro lavoro, non posso usarli per fare la manutenzione».
Tutte queste pratiche, per D’Amore, hanno causato un «danno reputazionale» di grande rilievo per l’azienda, «perché i fatti mediatici collegati all’inchiesta stanno determinando un problema di rating verso gli stakeholders» dell’Amtab, «in particolari quelli bancari». L’amministratore unico dell’Amtab ha affermato che «i principali istituti di credito manifestano criticità nella prosecuzione dei rapporti e l’azienda rischia di perdere affidamenti per circa 7 milioni di euro».