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Claudio Cecchetto al Demodè di Modugno: «”Gioca Jouer” il simbolo dei disco party» – L’INTERVISTA

Jovanotti, Fiorello, Max Pezzali, Gerry Scotti: tutti nomi che rimandano a un’unica figura: Claudio Cecchetto, il talent scout e dj che, tra gli anni ‘80 e ‘90, ha lanciato quelli che sarebbero diventati i volti più noti e amati di un’intera generazione. Sabato Cecchetto sarà protagonista al Demodè Club di Modugno, con il party “Gioca…
claudio cecchetto

Jovanotti, Fiorello, Max Pezzali, Gerry Scotti: tutti nomi che rimandano a un’unica figura: Claudio Cecchetto, il talent scout e dj che, tra gli anni ‘80 e ‘90, ha lanciato quelli che sarebbero diventati i volti più noti e amati di un’intera generazione. Sabato Cecchetto sarà protagonista al Demodè Club di Modugno, con il party “Gioca Jouer”.

Mi dica la verità, in tutti questi anni non si è mai stancato di frequentare le discoteche?

«Non vivo realmente l’ambiente discoteca, io sto dietro la console. È quello il mio habitat. Se poi questa console si trova in discoteca o in un palazzetto, per me non fa alcuna differenza».

Che differenze vede tra le discoteche di oggi e quelle degli anni Settanta?

«Prima le discoteche erano l’unica fonte di divertimento. Oggi, per fortuna, le cose sono cambiate, la scelta si è ampliata, è un altro mondo insomma».

Il tempo passa ma “Gioca Jouer” rimane un cult.

«“Gioca Jouer” è diventato il simbolo del disco party. È praticamente impossibile trovare una borsa di un dj senza quel pezzo per il gran finale».

Il suo percorso nella musica è stato davvero lungo. Come ha iniziato?

«È una grande passione che mi ha tramandato mio padre. Lui era un grande ballerino, anche se non professionista perché faceva il camionista. Amava la musica. Ho una foto di quando avevo tre anni, con lui che mi compra una radio con il giradischi incorporato, a quel tempo c’erano ancora i 78 giri. Ho cominciato come tanti giovani negli anni Sessanta, suonando nel mio piccolo complesso. Poi, crescendo, sono diventato un grande ascoltatore di radio: quei pochi programmi che passavano, li ascoltavo avidamente. Parlo di programmi come “Bandiera Gialla” Boncompagni e Renzo Arbore o “Supersonic”».

Ha mai pensato di fare qualcos’altro nella vita?

«No, fin da subito ho deciso che volevo lavorare nel mondo della musica. La mia massima aspirazione era entrare in una casa discografica. Poi ho fatto l’università, studiando Scienze della preparazione alimentare, e ho anche dato una quindicina di esami. Ma quando mi è capitata l’occasione di entrare a Radio Milano International, ho detto “carissima scienza alimentare”, ti saluto, vado a fare la radio».

Lei è stato anche un batterista.

«Sì, ma mi piaceva di più ascoltare chi la suonava meglio di me. È lì che probabilmente è nato in me l’istinto del talent scout. Mi piaceva scoprire nuovi talenti e, in effetti, questa inclinazione mi ha sempre accompagnato».

Parlando di talento, secondo lei oggi c’è qualche artista che sta per esplodere?

«Il talento ha bisogno di essere nutrito, studiato e seguito. Puoi riconoscere un talento solo se lo frequenti e lo osservi da vicino. Posso dire che Stefano De Martino sta facendo grandi cose e crescerà ancora».

C’è invece qualcuno che sta riscuotendo più successo di quello che meriterebbe?

«Sarei un hater a dirlo. Il pubblico, in fondo, è sempre il miglior giudice. Se un artista ottiene successo, significa che lo merita».

Il pubblico ha sempre ragione, quindi?

«Il pubblico sceglie. Sceglieva prima, quando acquistava un disco, e scegli oggi ascoltando un brano in streaming».

Lei ha scoperto tanti talenti nel corso degli anni. C’è qualcuno su cui avrebbe scommesso tutto ma che non è riuscito a sfondare?

«Io ho sempre avuto una regola: posso puntare su qualcuno, ma se vedo che non corre abbastanza abbandono tutto. Preferisco concentrarmi su chi ne ha davvero bisogno. E poi se mi fosse sfuggito qualcuno, lo si direbbe ai quattro venti. “Lui ce l’ha fatta e Cecchetto non l’ha capito”. E invece questo non è mai successo».

Lei ha dichiarato «L’Inghilterra ha avuto i Beatles, gli Stati Uniti Elvis e noi abbiamo Jovanotti. È una provocazione o ci crede davvero?

«Ci credo assolutamente. Lorenzo è tra i più grandi, non fa mai album monotematici, li definirei piuttosto delle compilation, ogni brano è diverso dall’altro. È sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. È come Fiorello: sono due geni dello spettacolo».

Che mi racconta di Fiorello?

«È un talento assoluto. È veramente eclettico, in grado di fare praticamente tutto. È il tipo di persona che ti cambia la serata, che tu lo vada a vedere a teatro o che venga nel salotto di casa tua».

Pieraccioni?

«Ho avuto il merito di fargli prendere l’aspettativa dal lavoro. Era un magazziniere, chiamandolo a Deejay Television l’ho buttato nel mondo dello spettacolo. Lì ha avuto modo di far quello di cui è capace: far ridere. Lui è il primo comico sorridente, tanti altri a telecamere spente diventano subito seriosi».

Gerry Scotti?

«Sono stato lanciato da Mike Buongiorno, ma preferivo la musica. Allora gli ho trovato un vero erede: Gerry. Lui è la televisione».

Amadeus?

«Amadeus è un presentatore eccezionale. Ha le stesse caratteristiche che anche io ho cercato di esprimere durante i miei Sanremo: creare uno spettacolo a misura del pubblico, mettendosi al servizio degli artisti. Amadeus sa come si fa».

Sanremo si sta avvicinando. Lei che rapporto ha con il Festival?

«È stato fondamentale nella mia carriera. Sono cresciuto lì, al Festival devo la mia notorietà. Ho partecipato a tre edizioni, nel 1980, 1981 e 1982, quando Sanremo raggiungeva dai 20 ai 25 milioni di spettatori. Nel 1980 c’era solo la serata in diretta del sabato sera, ma grazie a quel successo, l’anno dopo si decise di fare le tre serate. Un cambiamento epocale a cui ho contribuito. Quel palco è casa per me».

Ha un aneddoto significativo legato a Sanremo?

Nella prima edizione mi costruirono una console sul palco. Quando dovevo presentare gli artisti internazionali, lo facevo proprio da lì. È Nato in quel momento il mio marchio storico con le cuffie».

È vero che ha scoperto anche Mazzoli?

«Sì. Marco Mazzoli è una persona esuberante, ma molto competente e meticolosa nel suo lavoro. Ha talento. È un po’ birichino, ma se non lo fosse, non mi piacerebbe».

Parlando di speaker, Cruciani le piace?

«È un tipo unico, sia come speaker che come intrattenitore. Mi piace molto, anche se le cose che fa lui non riuscirei a farle. Ma è proprio questo che lo rende speciale: riesce a essere polemico ma allo stesso tempo simpatico».

E della polemica con Linus che mi dice?

«Preferirei non entrare in questi dettagli. Se qualcuno ti dovesse dire “ho litigato con Claudio”, ricordati che non sono io a litigare con loro, ma il contrario. Non ho tempo per queste cose. La vita è troppo breve per passare il tempo a fare polemiche».

Dove si vede nel futuro?

«Sono concentrato su Radio Cecchetto. Sto cercando di creare una radio social, una piattaforma che dia visibilità a chi ha talento, ci stiamo lavorando».

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