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Bari, Nicola Vasienti ucciso perché voleva collaborare con la giustizia: 4 arresti nel clan Strisciuglio

Sono quattro esponenti del clan Strisciuglio le persone arrestate dagli agenti della polizia di Stato di Bari per l'omicidio di Nicola Vasienti, 44enne trovato morto nella sua abitazione di via Granieri nel quartiere San Paolo del capoluogo pugliese, il 16 novembre del 2016. I quattro sono accusati, a vario titolo, di omicidio. Tre di loro…
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Sono quattro esponenti del clan Strisciuglio le persone arrestate dagli agenti della polizia di Stato di Bari per l’omicidio di Nicola Vasienti, 44enne trovato morto nella sua abitazione di via Granieri nel quartiere San Paolo del capoluogo pugliese, il 16 novembre del 2016.

I quattro sono accusati, a vario titolo, di omicidio. Tre di loro anche di estorsione. I reati sarebbero stati commessi con l’aggravante del metodo mafioso.

Le indagini, condotte dalla Squadra mobile e coordinate dalla Direzione distrettuale Antimafia di Bari, hanno permesso di far luce su quello che, in un primo momento, si pensava fosse un suicidio.

Stando a quanto emerso, però, si sarebbe trattato di un omicidio inquadrabile in un regolamento di conti interno al clan Strisciuglio, di cui lo stesso Vasienti avrebbe fatto parte. Alla base dell’uccisione del 44enne ci sarebbe stata la sua volontà di collaborare con la giustizia.

La mattina del 16 novembre di nove anni fa, lo scenario che si è presentato agli occhi degli investigatori era quello tipico di un suicidio. A un più attento esame del luogo in cui è stato trovato il corpo di Vasienti – l’abitazione in cui il 44enne era agli arresti domiciliari -, sarebbero emersi però alcuni dettagli che hanno indotto gli inquirenti a svolgere ulteriori verifiche.

Grazie alle intercettazioni e alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, sarebbe poi emerso che Nicola Vasienti, stanco delle continue vessazioni che avrebbe subito da esponenti del clan Strisciuglio e amareggiato per l’omicidio del suo amico Luigi Luisi, morto il 14 novembre 2016 a causa delle ferite riportate nel corso di un agguato mafioso avvenuto il precedente 31 ottobre, aveva deciso di collaborare con la giustizia. Una circostanza che avrebbe messo in pericolo il suo clan di riferimento.

Le indagini avrebbero, inoltre, consentito di accertare sia i ruoli che le singole responsabilità nell’omicidio e di individuare il mandante e gli esecutori materiali, i quali avrebbero inscenato un’impiccagione mentre, in realtà, si era trattato di uno strangolamento.

Il provvedimento di custodia cautelare in carcere è stato emesso dal gip del Tribunale di Bari su richiesta della Direzione distrettuale Antimafia.

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