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Bari, grandi empori cinesi: maxi-evasione e milioni di euro al fisco

La zona industriale di Bari ospita alcuni dei più grandi empori cinesi della regione, punti di riferimento per la distribuzione di merci a decine di negozi in Puglia e non solo. Ma accanto al ruolo di «hub» commerciale, emerge un fenomeno inquietante: gran parte delle vendite, sia all’ingrosso sia al dettaglio, sfugge completamente alla tassazione.…
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La zona industriale di Bari ospita alcuni dei più grandi empori cinesi della regione, punti di riferimento per la distribuzione di merci a decine di negozi in Puglia e non solo. Ma accanto al ruolo di «hub» commerciale, emerge un fenomeno inquietante: gran parte delle vendite, sia all’ingrosso sia al dettaglio, sfugge completamente alla tassazione. Nei negozi non vengono rilasciati scontrini né fatture, e il pagamento con carte di credito o bancomat è impossibile perché alla cassa la risposta è sempre la stessa: «Non abbiamo il pos».

Le stime parlano di transazioni che raggiungono centinaia di migliaia di euro l’anno per ciascun emporio, somme che, se sommate a livello regionale, possono arrivare a diversi milioni di euro. Il meccanismo è semplice, ma efficace: la merce venduta non è assoggettata all’Iva né alla tassazione sul ricavo lordo, e i clienti pagano spesso meno della metà rispetto a un punto vendita regolare. Questo vantaggio, però, grava interamente sul fisco e sulla collettività, mentre i venditori non subiscono alcuna perdita e in molti casi guadagnano più dei colleghi che rispettano le normative fiscali. Gli esperti spiegano che la situazione crea un mercato distorto.

«Chi opera correttamente subisce una doppia penalizzazione: paga tasse e oneri e non può competere con chi sfugge al fisco», sottolineano. L’evasione fiscale, oltre a togliere risorse fondamentali allo Stato, danneggia anche l’economia legale e la concorrenza leale. I cittadini, infatti, pagano il prezzo di questi mancati introiti attraverso servizi pubblici meno efficienti o aumenti di tasse indirette. Le autorità fiscali sono a conoscenza del fenomeno, ma il controllo su grandi strutture con migliaia di transazioni quotidiane risulta complesso, soprattutto quando i pagamenti avvengono solo in contanti. Le ispezioni, pur mirate, devono fare i conti con l’elevato volume di operazioni e con la difficoltà di tracciare ogni movimento economico. Questo scenario rende l’elusione fiscale particolarmente redditizia per i venditori e difficilmente intercettabile.

Non si tratta solo di un problema locale. L’assenza di registrazione fiscale delle vendite ha effetti a catena sull’intero mercato regionale: rifornitori e commercianti che rispettano le norme devono competere con prezzi artificialmente ribassati e rischiano di perdere clienti, riducendo ulteriormente le entrate fiscali complessive. Il danno è quindi doppio: perdita di gettito e distorsione della concorrenza. La situazione, inoltre, alimenta un dibattito più ampio sull’efficacia delle misure di contrasto all’evasione e sulla necessità di aggiornare strumenti e strategie di controllo. Gli esperti invitano a potenziare ispezioni, monitoraggio e incentivi per pagamenti tracciati, sottolineando come la digitalizzazione e l’uso dei pos siano strumenti essenziali per ridurre i margini di elusione fiscale.

Nel frattempo, il consumatore percepisce solo il vantaggio immediato: prodotti a prezzi molto più bassi rispetto al mercato regolare. Ma il costo reale di queste operazioni invisibili lo paga l’intera collettività, che subisce la perdita di entrate fondamentali per servizi pubblici, infrastrutture e sicurezza. Con un giro d’affari che potrebbe valere milioni di euro all’anno in tutta la regione, il fenomeno dei grandi empori cinesi senza tracciabilità fiscale rimane una criticità rilevante. La sfida per il Fisco è rendere visibili queste transazioni e tutelare sia i cittadini sia gli operatori che rispettano le regole, garantendo equità e trasparenza nel mercato.

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