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Bari Cronaca

Codice interno, ammesse nuove intercettazioni: già 103 le condanne pronunciate a Bari

Il Tribunale penale di Bari, in seduta collegiale, presieduta da Marco Guida, ha ammesso ieri, su richiesta dell’accusa, nuove intercettazioni per valutare le posizioni degli imputati che hanno scelto il processo ordinario nell’ambito del procedimento “Codice interno”. L’inchiesta che portò alla luce presunti legami tra mafia, politica e imprenditoria. Prossima udienza fissata il 3 dicembre.

Le condanne

Sono già state 103 le condanne pronunciate dal gup di Bari, Alfredo Ferraro, nei confronti di altrettanti imputati. Le pene più pesanti raggiunsero gli esponenti del clan Parisi-Palermiti: 11 anni per Savino Parisi ed Eugenio Palermiti, 10 anni per Giovanni Palermiti, 9 anni per il cantante neomelodico Tommaso «Tommy» Parisi, 14 anni per Radames Parisi e 7 per Antonino Palermiti.

Il rito ordinario

Tra gli imputati che scelsero il rito ordinario, Gaetano Scolletta, presunto affiliato al clan Parisi, difeso dall’avvocato Nicola Parente. Secondo gli atti della Procura, a lui si rivolse una funzionaria della Prefettura alla quale, nel gennaio del 2018, rubarono l’auto. Invece di denunciare il furto, chiese aiuto all’uomo. L’auto fu poi recuperata in cambio di 700 euro per la restituzione. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la donna fu accompagnata da Scolletta in un parcheggio dove ad attenderli c’era il ladro che, dopo avere indicato dove era stata parcheggiata l’auto, le suggerì come chiedere l’intervento delle forze dell’ordine per la consegna formale del veicolo.

L’equivoco

Nella stessa inchiesta furono coinvolte anche due agenti donna della polizia locale sospese dal servizio a causa di una presunta richiesta di protezione a criminali locali dopo avere sanzionato un automobilista che le aveva minacciate. A produrre il loro allontanamento dal servizio furono alcune intercettazioni estrapolate nell’ambito delle indagini “Codice interno”. Le agenti furono poi reintegrate in servizio e nell’agosto scorso, difese dall’avvocato Antonio La Scala, il legale fece sapere che alla fine non era emerso «nessun profilo di illiceità» perché la persona a cui si rivolsero, «al momento dei fatti era assolutamente incensurato e in relazione al procedimento penale per il quale era all’epoca indagato, è stato poi assolto».

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