La professione dell’avvocatura è in crisi? Sulla soglia della cerimonia per i 100 anni della categoria, prevista il 21 dicembre e che si svolgerà con ogni probabilità al teatro Piccinni, la domanda è lecita. I numeri di quanti si son cancellati dall’albo parlano chiaro ed evidenziano un dato incontrovertibile: son sempre di più quelli che abbandonano la professione e optano per i concorsi pubblici o altro. Dalle carte del tribunale di Bari vien fuori che gli attuali iscritti, tra cassazionisti e non, sono 6494 e i praticanti 1169; nel 2022 si sono cancellati 327 professionisti.
Stessa percentuale in decrescita per i giovani praticanti; l’anno scorso, su un totale di 1169, 231 hanno scelto di andar via. E ancora, quest’anno, i praticanti cancellati sono 220 e gli avvocati 183 a fronte di 133 nuovi praticanti iscritti e 122 nuovi avvocati. È chiaro il dato di un 20% in meno, circa. Un ultimo numero che mette in risalto una diversa stagione per la professione forense è quello relativo a dieci anni fa. Nel 2013 infatti gli avvocati erano 7072, di cui 6104 non cassazionisti e 968 cassazionisti. Davvero altri tempi. Negli ultimi periodi molti dichiarano guadagni inferiori ai 10mila euro l’anno e questo vuol dire che incassano meno di 1000 euro al mese. I motivi, a detta di chi evidenzia il fenomeno del crollo numerico, sono molteplici: il mancato principio della ragionevole durata del processo, sia civile che penale, basse prospettive di guadagno con crisi di liquidità a largo raggio e i clienti che stentano a pagare, spese ingenti per lo studio da mantenere (se non si ha la fortuna di avere quello di famiglia) e una pressione fiscale che non accenna a diminuire.
Tutti fattori che scoraggiano chi aspira a entrare e sfiancano chi ci è dentro. Si ha l’impressione che fare l’avvocato oggi non convenga, sia per gli elevati costi sia per l’alto rischio di trovarsi con uno studio senza clienti e spese ingenti da sostenere. Altro dato che sta facendo la differenza rispetto ai numeri di un tempo è il recente sblocco dei concorsi pubblici dopo decenni di fermo, di congelamento; i laureati, o chi è già in carriera da tempo, optano quindi per altri canali lavorativi e coloro i quali aspirano a diventare professionisti del diritto si è decisamente ridotto. Per alcuni questo è un dato a favore perché riduce la concorrenza e significa più spazio per chi rimane sul mercato. Per concludere c’è da registrare un unico dato positivo e a vantaggio di chi non demorde: restano in campo i più decisi, combattivi e affezionati alla toga; professionisti che non intendono rinunciare alla vocazione giovanile e che continuano a coltivare ideali legati ad un impegno sociale e al fascino di un nobile lavoro al servizio della collettività.