È stato ascoltato oggi, nell’aula bunker di Bitonto (sede distaccata del tribunale di Bari), l’ex vice direttore generale della Banca popolare di Bari (oggi Banca del Mezzogiorno), Gianluca Jacobini, imputato insieme al padre Marco, ex presidente del consiglio di amministrazione, per i reati – contestati a vario titolo – di falso in bilancio per gli anni 2016, 2017 e 2018 e ostacolo alla vigilanza della Consob e di BankItalia.
«Negli aumenti di capitale [della Banca, ndr] ho investito tutta la liquidità che avevo, tra somme ereditate e altro, per circa 800mila euro», ha affermato Jacobini: «Non ho mai venduto le azioni prima che si svalutassero, anche durante e dopo l’aumento di capitale ho continuato a comprare. Avevo fiducia nella banca. Ora ho zero», ha concluso.
Per Jacobini (difeso insieme al padre dagli avvocati Angelo Loizzi, Guido Carlo Alleva, Giorgio Perroni e Roberto Eustachio Sisto) si tratta del primo esame davanti al collegio giudicante presieduto da Marco Guida.
«L’acquisizione di Tercas fu tormentata»
Nel corso dell’udienza di oggi, Jacobini ha parlato anche della «tormentata acquisizione di Tercas».
A pochi mesi dall’acquisizione, a febbraio 2015, la Direzione generale della concorrenza della Commissione europea avviò un’indagine sui presunti aiuti di Stato non autorizzati, a causa dell’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) nell’operazione. Il Fondo, come ha spiegato Jacobini, intervenne nell’operazione per coprire delle «perdite vecchie» di Tercas, e alla fine la Corte di giustizia europea diede ragione alla Popolare, giudicando l’operazione legittima.
L’avvio della procedura della Commissione europea, però, avrebbe potuto avere un epilogo “drammatico”: «La banca avrebbe dovuto restituire 250 milioni [versati per l’acquisto di Tercas, ndr], non si poteva fondere Tercas senza cedere Bari [la BpB, ndr], la Popolare avrebbe bruciato il suo aumento di capitale e Tercas sarebbe fallita. Sarebbe successo di tutto».
Jacobini ha anche spiegato come nel 2015 l’istituto abruzzese, nel primo anno dopo l’acquisizione, chiuse «con un utile di 10 milioni di euro».
Relativamente all’acquisizione di Tercas, la Procura di Bari ritiene che i due Jacobini, nei prospetti richiesti per l’offerta al pubblico di prodotti finanziari, avrebbero ridimensionato le indicazioni dei fattori di rischio connessi all’acquisizione della banca abruzzese, non offrendo agli investitori «una rappresentazione fedele della reale situazione economico e patrimoniale della Bpb e del Gruppo nel suo complesso (…) con le conseguenti ricadute sul prezzo delle emissioni delle nuove azioni». L’acquisizione di Tercas avrebbe portato a un calo del 21% del valore delle azioni di Bpb, una «conseguenza prevedibile, nota ed intenzionalmente sottaciuta dalla governance della Banca popolare di Bari», scrive la Procura nel capo d’imputazione. Per l’accusa, i crediti deteriorati di Bpb prima della fusione con Tercas ammontavano a 780 milioni, dopo arrivarono a oltre 1,4 miliardi.
Nella prossima udienza del 3 febbraio è previsto il controesame della Procura.